Papa: Dio dà sempre al peccatore la possibilità di divenire “giusto”
Continuando nelle riflessioni sulla preghiera, Benedetto XVI illustra la figura di Mosè “uomo di preghiera”. C’è “una tentazione costante nel cammino di fede: eludere il mistero divino costruendo un dio comprensibile, corrispondente ai propri schemi, ai propri progetti”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Dio dà sempre al peccatore la possibilità di divenire “giusto” e l’intera storia della salvezza è una storia di totale gratuità in cui solo Dio ha l’iniziativa, non per i meriti di chi la riceve, ma per libera scelta. Lo mostra anche l’episodio biblico di Mosè che, sul monte Sinai, intercede per il suo popolo che ha gravemente peccato costruendosi il vitello d’oro, episodio illustrato oggi da Benedetto XVI nella catechesi per l’udienza generale.
Proseguendo nelle riflessioni sulla preghiera, alle quali sta dedicando i discorsi del mercoledì, alle 30mila persone presenti in piazza san Pietro il Papa ha evidenziato di Mosè l’essere “uomo di preghiera”.
“Il grande profeta e condottiero del tempo dell’Esodo ha svolto la sua funzione di mediatore tra Dio e Israele facendosi portatore, presso il popolo, delle parole e dei comandi divini, conducendolo verso la libertà della Terra Promessa, insegnando agli Israeliti a vivere nell’obbedienza e nella fiducia verso Dio durante la lunga permanenza nel deserto, ma anche, e direi soprattutto, pregando”. Prega per il faraone quando Dio, con le piaghe, tentava di convertire il cuore degli egiziani, chiede la guarigione della sorella, prega quando il fuoco stava per divorare l’accampamento, “vede Dio e parla con Lui faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico”.
In particolare, Benedetto XVI si è soffermato su quando, mentre Mosè è sul Sinai in attesa di avere la Legge, il popolo chiede ad Aronne di fare il vitello d’oro. “Stanco di un cammino con un Dio invisibile, ora che anche Mosè, il mediatore, è sparito, il popolo chiede una presenza tangibile, toccabile, del Signore, e trova nel vitello di metallo fuso fatto da Aronne, un dio reso accessibile, manovrabile, alla portata dell’uomo. È questa una tentazione costante nel cammino di fede: eludere il mistero divino costruendo un dio comprensibile, corrispondente ai propri schemi, ai propri progetti”.
Per questo, Dio rivela a Mosè quanto sta accadendo e dice: “Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione”. “Come con Abramo a proposito di Sodoma e Gomorra, anche ora Dio svela a Mosè che cosa intende fare, quasi non volesse agire senza il suo consenso”. In realtà, con quel “lascia che la mia ira si accenda” Dio vuole che Mosè intervenga e gli chieda di non farlo, “rivelando così che il desiderio di Dio è sempre la salvezza. Come per le due città dei tempi di Abramo, la punizione e la distruzione, in cui si esprime l’ira di Dio come rifiuto del male, indicano la gravità del peccato commesso; allo stesso tempo, la richiesta dell’intercessore intende manifestare la volontà di perdono del Signore. Questa è la salvezza di Dio, che implica misericordia, ma insieme anche denuncia della verità del peccato", cosicchè "il peccatore, riconosciuto e rifiutato il proprio male, possa lasciarsi perdonare" da Dio. "La preghiera di intercessione rende così operante, dentro la realtà corrotta dell’uomo peccatore, la misericordia divina, che trova voce nella supplica dell’orante e si fa presente attraverso di lui lì dove c’è bisogno di salvezza".
E quando, dopo la distruzione del vitello d’oro, Mosè torna sul monte per chiedere di nuovo la salvezza per Israele, dice al Signore di perdonare il peccato del popolo, “altrimenti, cancellami dal tuo libro”. “Con la preghiera, desiderando il desiderio di Dio, l’intercessore entra sempre più profondamente nella conoscenza del Signore e della sua misericordia e diventa capace di un amore che giunge fino al dono totale di sé". In questa immagine i Padri della Chiesa “hanno visto in Mosè che sta sulla cima del monte, faccia a faccia con Dio, e si fa intercessore per il suo popolo, offre se stesso, una prefigurazione di Cristo che sull'alto della Croce realmente sta davanti a Dio, non solo come amico ma come figlio e diventa peccato, porta i nostri peccati per salvarci". "Penso - ha concluso il Papa - che dobbiamo meditare questa realtà: Cristo sta davanti alla faccia di Dio e prega per me, ha sofferto e soffre per me, si è identificato con me prendendo il nostro corpo, l'anima umana e ci invita a entrare in questa sua identità facendoci con Lui un solo corpo e un solo spirito".
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