Papa in Bulgaria: Ai cattolici, vedere con occhi di fede e d’amore
Nell’incontro la comunità cattolica nella chiesa di S. Michele Arcangelo a Rakovsky, papa Francesco esorta a vivere come costruttori di speranza. “Chi ama non perde tempo a piangersi addosso, ma vede sempre qualcosa di concreto che può fare”. Amare gli altri senza badare agli “aggettivi”, ma ai “sostantivi”: “questa è una persona, immagine di Dio”. Trovare il modo in cui “tradurre in modo concreto e comprensibile alle giovani generazioni l’amore che Dio ha per noi”.
Rakovsky (AsiaNews) - Aiutare a “vedere con occhi di fede e di amore” e “cercare di tradurre l’amore di Dio in ogni momento della storia”: sono i due poli che papa Francesco ha offerto per rafforzare la fede dei cattolici bulgari durante l’incontro con la comunità cattolica, avvenuta nella chiesa di San Michele Arcangelo a Rakovsky. Questa è una cittadina a maggioranza cattolica, ma in tutto il Paese questa comunità non supera i 70mila fedeli, essendo la terza comunità religiosa della Bulgaria dopo gli ortodossi e i musulmani.
Il papa ha parlato del grande amore verso questa terra e i fratelli ortodossi espresso da Giovanni XXIII, quando era delegato apostolico in Bulgaria (1925-1934), e ricorda la grande tradizione di Cirillo e Metodio, che seppero “tradurre” il vangelo nella lingua locale.
All’entrata della chiesa, il pontefice è salutato da alcuni membri della comunità e poi si ferma in silenzio davanti a una reliquia e ad un bassorilievo del “papa buono”. Un piccolo coro di giovani canta gli inni delle Giornate della Gioventù. Vi è anche un gruppo di ragazzi e ragazze che esegue alcune danze tradizionali.
Dopo un breve saluto del vescovo di Sofia e Plovdiv, mons. Gheorghi Ivanov Jovčev, il papa ascolta alcune testimonianze: di una suora eucaristina, suor Maria Evrozia Gudzerova; di una coppia sposata con la loro bambina, Mikto Mihaylovi e Miroslava Mihaylovi e Bilyana; di un sacerdote, don Boris Stoykov.
Suor Maria Evrozia, ricorda che lei è una di cinque vocazioni entrate in convento dopo una pausa di oltre 20 anni, accolte dalle suore anziane “sopravvissute al regime ateo”. Il sacerdote parla della sua gioia nel vivere la sua vocazione e conclude con una preghiera: “Signore, fà che anche oggi molti giovani scoprano questo tesoro che è la vocazione, perché ‘la messe è grande, ma gli operai sono pochi!’”.
La coppia Mihaylovi racconta la vita quotidiana fatta di amore e di perdono reciproco, sostenuti dalla testimonianza di altre famiglie nella loro parrocchia.
Prendendo la parola, Francesco chiede a tutti loro di essere persone che si lasciano “guidare dalla forza della risurrezione”, che pur riconoscendo che vi sono “situazioni o momenti dolorosi e particolarmente ingiusti”, “non restano con le mani in mano, intimoriti o, peggio, alimentando un clima di incredulità, malessere o fastidio, perché questo non fa che nuocere all’anima, indebolendo la speranza e impedendo ogni possibile soluzione”. “Chi ama – aggiunge - non perde tempo a piangersi addosso, ma vede sempre qualcosa di concreto che può fare”. E ricorda la sua esperienza al campo profughi di Vrazhedebna, questa mattina, in cui i volontari della Caritas si dedicano alle persone lì presenti senza badare agli “aggettivi”, ma ai “sostantivi”: “questa è una persona, immagine di Dio”.
Poi il papa sottolinea il valore della parrocchia, “una casa in mezzo a tutte le case… capace di rendere presente il Signore proprio lì dove ogni famiglia, ogni persona cerca quotidianamente di guadagnarsi il pane”.
La comunità è unita: “Mai separati, ma uniti, ciascuno impara ad essere segno e benedizione di Dio per gli altri. Il sacerdote senza il suo popolo perde identità e il popolo senza i suoi pastori può frammentarsi”.
In un lungo intermezzo a braccio, Francesco sottolinea il valore della Chiesa come madre, come comunità aperta, sempre pronta ad accogliere, facendo propri “i nodi” dell’esistenza dei suoi figli.
Infine, “sulle orme di Cirillo e Metodio”, Francesco chiede ai fedeli di trovare il modo in cui “tradurre in modo concreto e comprensibile alle giovani generazioni l’amore che Dio ha per noi”.
I giovani, ha spiegato, “nel momento in cui si sentono chiamati ad esprimere tutto il potenziale in loro possesso, molte volte restano a metà strada a causa delle frustrazioni o delle delusioni che sperimentano, poiché non hanno radici su cui appoggiarsi per guardare avanti. E questo aumenta quando si vedono obbligati a lasciare la propria terra, la propria patria, la propria famiglia”. Per questo è importante far incontrare giovani e anziani, i due gruppi di persone che soffrono di più nella nostra società e “gli anziani sono le radici”. I giovani “possono frequentare il futuro” solo se “hanno le radici dei vecchi”.
“Non stancatevi – ha concluso - di essere una Chiesa che continua a generare, in mezzo alle contraddizioni, ai dolori e alle povertà, i figli di cui questa terra ha bisogno oggi agli inizi del XXI secolo, tenendo un orecchio al Vangelo e l’altro al cuore del vostro popolo”.