Padre Jaeger: Cristiani ed ebrei a sostegno del rapporto fra Chiesa e Israele
Ad AsiaNews il francescano esperto di relazioni tra Vaticano e Israele parla del valore dell'"Accordo fondamentale" per la Chiesa universale e della necessità di arrivare ad una sua piena attuazione per il bene di entrambe le parti. Il ruolo degli Stati Uniti e quello "possibile" dell'Europa.
Roma (AsiaNews) - Il francescano israeliano p. David-Maria A. Jaeger, noto esperto legale nelle relazioni tra Chiesa e Stato in Terra Santa, è stato di recente eletto presidente dell'Ong "The Church and Israel Public Education Iniziative". In questa intervista esclusiva ad AsiaNews spiega le prospettive e gli impegni del nuovo organismo.
Padre Jaeger, il vostro è un ente ecclesiastico?
Proprio no: è un'aggregazioni libera di privati cittadini appassionati all'argomento, che mi ha invitato a presiederlo in ragione della mia nazionalità ebraica e conoscenza della materia.
Che scopi si prefigge "The Church and Israel Public Education Iniziative"?
Il primo obiettivo è informare e convincere l'opinione pubblica, specialmente negli Usa, della cruciale importanza della visione di Giovanni Paolo II circa un nuovo tipo di relazioni tra Chiesa e società in Medio Oriente e in particolare in Israele. Essa si riflette negli Accordi Fondamentali fra Santa Sede e Israele e nell'Accordo di base, firmato dalla Santa Sede con i palestinesi nel 2000, avendo lo sguardo a un futuro stato palestinese.
La nostra organizzazione intende anche sottolineare che se la coraggiosa visione del defunto e grande Giovanni Paolo II è destinata a portare frutti in Israele, è necessario attuare l'"Accordo fondamentale".
Sono passati ormai 14 anni dalla firma dell'"Accordo fondamentale". Quanto è stato attuato finora?
La risposta è complessa e merita cautela. Come si sa - sulla base dell'"Accordo fondamentale" - il 10 novembre 1997 la Santa Sede ed Israele hanno firmato un secondo e significativo trattato, con cui lo stato d'Israele ha riconosciuto la personalità giuridica della Chiesa e di tutti i suoi organismi: dal Patriarcato alle associazioni ufficiali dei fedeli laici. Si è trattato di uno sviluppo molto positivo e carico di speranze. Positivo e rassicurante è anche il fatto che entrambi gli Accordi siano stati ratificati e entrati in vigore a livello internazionale (rispettivamente il 10 marzo 1994 e il 3 febbraio 1999). Purtroppo, fino ad oggi nessun Accordo è ancora divenuto legge dello Stato d'Israele, soprattutto l' "Accordo fondamentale", nonostante i numerosi anni passati dalla firma e dalla ratifica. Sconcertante è poi il fatto che il governo stesso - è ben risaputo - ha ufficialmente informato la Corte Suprema d'Israele di non riconoscere l'"Accordo fondamentale"come vincolante. In pratica questo rende inutile l'Accordo, visto che Chiesa e organizzazioni cattoliche non possono farvi affidamento nei loro rapporti quotidiani con lo Stato e la società. Cercando di superare la delusione che questo ha generato, vorremmo convincere i cattolici a non disperare, a non abbandonare la visione di Giovanni Paolo II, considerandola ormai solo una pura utopia. Piuttosto vogliamo promuoverla, applicandola con determinazione, speranza e coraggio. La comunità cattolica in Israele non può sperare di sopravvivere nel XXI secolo sulla base di uno status giuridico e sociale impreciso e instabile, che era già antiquato nel XIX secolo!
In che modo l'"Accordo fondamentale" riguarda anche la Chiesa universale?
La presenza cristiana in Israele e in tutta la Terra Santa è lontana dall'essere semplicemente una "Chiesa locale". Essa è anche una "rappresentanza" di tutti i cristiani del mondo, che a diritto guardano alla Terra Santa come alla loro "patria spirituale". Nel corso della Storia questa presenza è stata quindi garantita da una serie di trattati internazionali con l'ex Impero Ottomano e da risoluzioni internazionali, che hanno, in effetti, riconosciuto la sua unicità e il suo conseguente bisogno di speciale tutela. Il processo di negoziati e accordi, iniziato con l'"Accordo fondamentale" (e ancora non concluso) mira anche a ribadire e consolidare queste precedenti garanzie, nel quadro delle condizioni odierne. Questo deve spingere tutti i cristiani ad essere più informati sulla situazione e sostenere questo processo con convinzione e perseveranza.
Perché vi rivolgete soprattutto agli Stati Uniti?
Gli Stati Uniti sono i più stretti e influenti amici di Israele e gli americani, compresi quelli cattolici, sono molto ben disposti verso gli israeliani e interessati ad Israele. Gli israeliani lo sanno e lo apprezzano. Per questo il sostegno degli americani per la normalizzazione e lo sviluppo delle relazioni tra Chiesa e Stato in Israele potrebbe essere molto ben accetto in Israele. Gli americani devono riuscire a convincere gli israeliani che il rispetto degli Accordi con la Chiesa cattolica porterà benefici ad entrambi. Questo è il nostro approccio. Speriamo che gli americani, una volta informati delle speranze e dell'urgenza dei rapporti tra Chiesa e Israele, daranno il loro positivo e attivo contributo a queste relazioni.
Abbiamo intenzione di rivolgerci a tutti i cristiani, dato che lo sviluppo delle relazioni tra Chiesa e Israele deve interessare e portare beneficio a tutti coloro che credono in Cristo. Certamente aspetto con trepidazione l'opportunità di collaborare con le comunità e le organizzazioni ebraiche, come ho già fatto altre volte. Tra i cattolici e gli ebrei americani vi sono strette e amichevoli relazioni di collaborazione, che possono risultare estremamente significative nel contesto di "Chiesa e Israele".
Certo, lo speciale riferimento agli Usa non intende svilire il possibile ruolo dell'Europa e degli europei. Oggi più che mai, molti europei possono essere nella posizione di parlare ad Israele. Penso sia fruttuoso estendere la nostra modesta attività anche all'Europa.