Pace e perdono, i due volti del Natale fra i cristiani dell’Orissa
di Ajay Kumar Singh
I fedeli si preparano a vivere le celebrazioni con speranza, anche dopo un lungo periodo di persecuzione. Le autorità di Kandhamal promettono sicurezza e invitano al “rispetto e solidarietà per le comunità cristiane”. Le persone vogliono “dimenticare il dolore, le divisioni, la perdita delle persone care”.
Kandhamal (AsiaNews) – Dopo due anni di feroci persecuzioni, i cristiani dell’Orissa si preparano al Natale con una “rinnovata speranza” . Sulle celebrazioni gravano ancora oggi le minacce di alcuni gruppi fondamentalisti indù; nella memoria della gente è ancora vivo il ricordo degli attacchi, gli omicidi, le case e le chiese bruciate. Ma il desiderio di festeggiare la nascita di Cristo, che ha insegnato il valore del “perdono”, le rassicurazioni fornite dalle forze dell’ordine del distretto di Kandhamal e i primi arresti contro i responsabili delle violenze, sono piccoli segni che invitano a “lavorare per la pace e la riconciliazione”.
Il primo grande attacco contro la comunità dell’Orissa è avvenuto proprio la Vigilia di Natale del 2007. All’origine delle violenze, un presunto assalto a Swami Laxamananda Saraswati. Il bilancio è stato di otto morti, più di 850 case e 50 chiese bruciate, fedeli in fuga nella foresta in cerca di riparo. Ancor più drammatico il Natale 2008, trascorso nei campi profughi a causa del pogrom anti-cristiano lanciato dai fondamentalisti indù in risposta all’omicidio dello Swami, avvento a fine agosto. Essi hanno incolpato i cristiani, scatenando una catena infinita di violenze che ha causato centinaia di vittime, devastazioni, chiese e conventi dati alle fiamme, interi villaggi abbandonati.
Quest’anno, in concomitanza con la festa, gruppi nazionalisti estreisti del Sangh Parivar hanno lanciato due giorni di scioperi e manifestazioni (Bandh) proprio il 24 e il 25 dicembre; attivisti brandiscono cartelli e manifesti che invitano a “boicottare il Natale”. Le minacce, tuttavia, non impediscono ai cristiani di vivere con gioia le celebrazioni.
Augustine Singh, legale delle vittime delle violenze anti-cristiane, racconta “l’atmosfera di gioia” che si respira fra i bambini, che “attendono con impazienza la festa”. Certo, i problemi non sono risolti. Le celebrazioni si terranno per il secondo anno consecutivo nelle tende, perché “le chiese sono rase al suolo e abbiamo abbandonato i villaggi per le minacce subite”. L’arresto di Gururam Patra, segretario generale del Bjp (Bharatiya Janata Party) di Kandhamal, la mente numero due del pogrom è stato “un segnale forte contro gli autori delle violenze e un raggio di speranza per la comunità cristiana”.
P. Manoj Nayak, coordinatore dei programmi di assistenza ai profughi, registra “segni di pace e riconciliazione fra le comunità”, come avvenuto lo scorso 10 dicembre quando “circa 2000 persone, in maggioranza non cristiani, si sono riuniti per celebrare la Giornata internazionale per i diritti umani”.
Sr Christa, delle Carmelitane di Santa Teresa, sottolinea che Gesù è “segno di pace e di riconciliazione” e “noi siamo i suoi messaggeri”. Il mondo può sperare nella pace, spiega, e “il perdono dovrebbe essere il valore fondante delle relazioni umane”. “Questo è ciò che Cristo è venuto a insegnarci – aggiunge – perché tutti possano riconoscere Dio come Padre e accettare tutti gli uomini come fratelli e sorelle”.
Le autorità di Kandhamal hanno garantito sicurezza e protezione per i fedeli che parteciperanno alle funzioni. Krishen Kumar, procuratore capo del distretto, ha indetto una manifestazione per la pace, che si è svolta il 21 dicembre scorso. Egli ha lanciato un appello al “rispetto e solidarietà per le comunità cristiane”. E ha inoltre aumentato le pattuglie nei punti sensibili.
Il p. Praful Digal ribadisce che la comunità vuole “dimenticare il dolore, le divisioni, la perdita delle persone care”. “Abbiamo sofferto per Gesù – spiega – ed è Gesù che ci allevierà dalle sofferenze. Qui possiamo capire cosa significa nascere, come Gesù, in una mangiatoia, senza una casa. Perché siamo anche noi senza una casa, senza un luogo per ricordare Gesù”.
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