25/10/2018, 16.47
THAILANDIA
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P. Ribolini: Il cristianesimo, ‘una rivoluzione’ per le famiglie tribali

A Ban Thoet Thai, il missionario del Pime lavora soprattutto con i tribali di etnia Akhà, di recente conversione e legati ad una tradizione in cui i legami familiari non sono molto forti e stabili. Le piaghe della dipendenza da droga, alcol, l’abbandono scolastico e la violenza minorile causate dalle famiglie divise.

Ban Thoet Thai (AsiaNews) – Dall'evangelizzazione alla vera conversione dei tribali “vi è un percorso lungo diverse generazioni, perché i valori cristiani davvero rivoluzionari, sia per la vita religiosa che quella sociale”. Lo afferma p. Marco Ribolini (foto), sacerdote del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) e parroco di Ban Thoet Thai, remota località nord-occidentale situata nella diocesi di Chiang Rai. I cattolici di questo territorio appartengono a diverse minoranze etniche tribali (Akhà, Lana, Lahu, Isan, Thaiyai e Kachin), che vivono tra montagne ed aree rurali in un contesto di povertà ed emarginazione, sia sociale che geografica. La quattro missioni del Pime nel nord del Paese [Fang, Ban Thoet Thai, Mae Suay e Ngao] ospitano alcuni ostelli, destinati all’accoglienza e alla formazione scolastica di giovani appartenenti a famiglie povere.

“La nostra – dichiara p. Ribolini – è una chiesa ancora ‘catecumenale’, di prima evangelizzazione e animata dalle conversioni. Il contesto geografico è complicato: i cristiani vivono in villaggi immersi nelle foreste e lontani l'uno dall'altro”. La sola missione di Ban Thoet Thai cura 27 insediamenti e dedica ai giovani diverse attività ricreative, affiancate a momenti di preghiera e lezioni di catechismo. È il caso del “Campo dei Sacramenti”, che durerà quattro giorni a partire da oggi e vedrà la partecipazione di circa 70 ragazzi tra i sette ed i 12 anni. “Attraverso questa iniziativa, prepareremo i ragazzi ai sacramenti dell'iniziazione cristiana: battesimo, cresima ed eucaristia”, racconta il missionario.

P. Ribolini afferma che “negli ostelli del Pime, la preghiera non manca mai”. Ma la missione si prende cura anche delle famiglie, che hanno occasione di studiare la catechesi attraverso vari programmi. “Gli incontri – prosegue il sacerdote – ci offrono l'occasione di affrontare tematiche legate alla vita familiare. I tribali hanno una concezione di famiglia che, rispetto a quella che abbiamo noi, è tutta da costruire. Ad esempio, dedichiamo programmi specifici per famiglie che vogliono sposarsi in chiesa, sebbene dalle loro unioni, già celebrate in via tradizionale, sono nati figli”.

A Ban Thoet Thai, p. Ribolini lavora soprattutto con i tribali di etnia Akhà, convertiti da poco e abituati ad una tradizione in cui i legami familiari non sono molto forti e stabili. “L’avvento del cristianesimo sta cambiando le cose – dichiara – ma certe usanze a volte lasciano segni profondi. Quando ancora non erano cristiani, i ragazzi erano abituati a logiche di scambio sessuale, anche prima e durante il matrimonio. Secondo le tradizioni locali, gli sposi sono tenuti a fare offerte (ad esempio un maiale) agli anziani, ai quali chiedono il permesso di vivere insieme. Non vi è il concetto del ‘per sempre’: separazioni, seconde famiglie, figli non accettati e confusione sono all’ordine del giorno. Tra gli Akhà è diffusa anche la figura della ‘amante ufficiale’, che diventa quasi una dimostrazione di benessere economico o ostentazione di potere. A ciò si aggiunge l’abbandono di minori presso le case degli anziani, che spesso non sono più in grado di crescere e educare i ragazzi”.

Il missionario sottolinea che “la mancanza del sostegno educativo che offre una famiglia unita è in parte causa dei gravi problemi sociali che affliggono i tribali: dipendenze da droga, alcol, abbandono scolastico e violenza minorile, perché senza genitori i bambini crescono in strada o in foresta”. “Dall'evangelizzazione alla vera conversione vi è un percorso lungo diverse generazioni – conclude p. Ribolini – Fenomeni come la disoccupazione, l’urbanizzazione e l’emigrazione possono costituire una minaccia a questi valori, non ancora ben radicati. I nostri giovani abbandonano i villaggi, per cercare fortuna in città o all’estero. Ciò comporta costi sociali altissimi”.

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