09/12/2004, 00.00
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P. Ragheed di Mosul: "Testimoniare Cristo in Iraq, anche a rischio della vita"

di Lorenzo Fazzini
Parla il sacerdote testimone dell'attacco al vescovado: "L'edificio è crollato. Rimane in piedi solo un muro, con sopra la foto del papa".

Mosul (AsiaNews) - A poche ore dall'attentato del 7 dicembre a Mosul, i cattolici caldei hanno voluto dare un segno di speranza: ieri tutti hanno partecipato alla messa per la solennità dell'Immacolata. Molta gente, fra cui tanti musulmani, si sono offerti di ospitare a casa loro mons. Rahho, il vescovo della città, la cui abitazione è stata distrutta dai terroristi. Così, p. Ragheed Ganni, 32 anni, testimone oculare dell'attentato contro il vescovado racconta la giornata di ieri in un'intervista telefonica ad AsiaNews. P. Ganni, sacerdote caldeo, per 7 anni in Italia, ha voluto ritornare in Iraq un anno fa. Anche se presi di mira dal terrorismo i cristiani sono intenzionati a rimanere in Iraq per essere "simboli di pace". La croce che i credenti in Cristo portano in Iraq "è grande", ma le preghiere del papa e dei cristiani d'occidente sono un grande aiuto per "testimoniare la nostra fede in Cristo"  anche a rischio della vita.

Ecco l'intervista a padre Ganni.

Ci racconti la dinamica dell'attentato.

Sono entrate in vescovado 4-5 persone, 3 di loro erano mascherati. Mi hanno detto di uscire dall'edificio dicendo: "stiamo mettendo delle bombe perchè gli americani distruggono le nostre moschee". Hanno voluto colpire il vescovado perché è un simbolo per tutti i cristiani: in questo modo volevano dare un messaggio a tutte le chiese cristiane. Non c'è stato nessun ferito nell'attacco: penso che questo sia un segno della volontà di Dio. Quando ho visto i terroristi che stavano venendo, ho mandato un ragazzo a chiamare questi attivisti. Ma subito mi hanno telefonato dicendo che non potevano venire, per loro era impossibile muoversi. Abbiamo chiamato il governatore, la polizia, ma non è venuto nessuno.

Come hanno reagito i cristiani di Mosul?

Ieri abbiamo celebrato normalmente la solennità dell'Immacolata. La gente era terrorizzata, ma abbiamo voluto dare un segno di speranza. Nella festa di ieri abbiamo ricordato che Dio attraverso Maria ha mandato il suo Figlio nel mondo per noi, e questo ci dà fiducia. Il vescovo ha presieduto la messa nella cattedrale e nelle chiese si sono svolte le messe normalmente.

E la gente?

Il vescovo ha perso la sua casa, ma molti sono venuti subito a offrirgli un tetto e una camera. C'erano anche alcuni musulmani che hanno detto al vescovo: "Venga, la ospitiamo da noi, siamo contrari a questi attentati e li condanniamo". Ci hanno dimostrato la loro vicinanza e simpatia. Abbiamo molti amici musulmani, il vescovo è molto conosciuto e stimato da loro.

Ieri il papa ha ricordato all'Angelus il "caro popolo iracheno" e ha pregato perché in Iraq si stabilisca "un tempo di riconciliazione e di pace".

Sappiamo che il papa prega sempre per noi e questo ci dà forza. E posso dirvi questo: tutto l'edificio del vescovado è crollato, tranne un muro. E su quel muro è rimasta la foto del papa.

Si avvicina il Natale: si può viverlo fra attentati e minacce?

Da quando  sono tornato in Iraq un anno fa, ho visto tanti drammi: una volta hanno messo una bomba nella mia chiesa e mia sorella è rimasta ferita; il 1° agosto [il giorno dei 5 attentati contro chiese cristiane in Iraq, ndr] abbiamo scoperto un'autobomba davanti alla nostra parrocchia, poco prima che scoppiasse. Ci stiamo preparando alla venuta di Gesù, Re della pace: penso che questo Natale sarà un segno per l'Iraq e che noi siamo chiamati ad essere simboli di pace. Esser cristiani in questa situazione non è facile, ma o lo si è fino in fondo, sapendo anche di rischiare la vita, oppure non ci si può dire cristiani. Qualcuno pensa che dovremmo combattere contro questi attentati, ma io dico che con la nostra mentalità cristiana e con la nostra fede dobbiamo insegnare agli altri il nostro modo di vivere. In Iraq c'è bisogno di qualcuno che porti la pace e i cristiani possono farlo. Molti sono emigrati, perché hanno bambini e sono giovani, e hanno ragione perché qui manca la sicurezza. Ma per quelli che restano, perdere la vita per una cosa grande come la fede in Cristo, vale la pena. Proprio dopo l'attentato un ragazzo mi ha telefonato dicendomi: "Siamo pronti a venire a dormire nella chiesa per difenderla".

Padre, perché lei è tornato in Iraq dove rischia ogni giorno la vita?

Questo è il mio paese, qui c'è la mia gente: dopo 7 anni di studio in Italia dovevo tornare. Non ho paura: ho sempre pregato perché si compia la volontà di Dio. Qui a Mosul c'è la mia diocesi, ci sono i miei cristiani. Dovevo tornare perché la gente ha bisogno di padri e guide spirituali, e io non sono migliore di loro per stare lontano.

Cosa chiede ai cristiani d'Occidente?

Pregate sempre per noi: i cristiani iracheni stanno portando una grande croce. Sappiamo che ci sono persone in Occidente che pregano per noi e questo ci sostiene.
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