P. George: Nelle prigioni saudite, ho partecipato alle sofferenze di Cristo crocefisso
In un'intervista ad AsiaNews il sacerdote racconta l'arresto al termine della celebrazione della messa e l'interrogatorio; la polizia religiosa conosceva tutti i suoi spostamenti.
Trivandrum (AsiaNews) "È stata una chiamata a partecipare e servire le sofferenze di Cristo": così p. George Joshua, 41 anni, descrive i giorni passati in prigione a Riyadh e la sua espulsione dall'Arabia Saudita solo per aver celebrato una messa nel Paese dove la pratica di ogni altra religione, escluso l'Islam, è proibita.
In un'intervista esclusiva ad AsiaNews, p. George, sacerdote cattolico di rito malankar, racconta la sua piccola odissea. Tutto è cominciato la settimana scorsa, quando il p. George, col benestare del suo vescovo, è andato in Arabia saudita per preparare alla Pasqua le migliaia di indiani cattolici che lì vivono senza sacerdoti, eucaristia, o catechesi.
Il 5 aprile scorso P. George si trovava a Riyadh in una sala privata con un gruppo di cattolici stranieri per celebrare la messa. "Ho cominciato l'Eucaristia alle 20.30 ed era dedicata ai malati e a coloro che soffrono. Il rito orientale del Malankar è molto elaborato e la liturgia è durata fino alle 22.30. Avevo appena tolto i paramenti quando un gruppo di poliziotti della muttawa (polizia religiosa) e 2 poliziotti ordinari sono arrivati nella sala. I muttawa hanno un costume speciale e all'inizio ho pensato che fossero dei sacerdoti che volevano aggiungersi a noi".
"Subito si sono diretti verso di me e mi hanno elencato tutti i luoghi dove io ero stato fino allora, le mie attività, le preghiere di gruppo che avevo organizzato nelle case private, ecc.".
"Mi hanno domandato che tipo di visto io avevo e ho loro risposto: Un visto per business.
"Al che i muttawa mi dicono: Non lo sai che è illegale svolgere attività cristiane senza un visto speciale per religiosi? E io: Io sono un sacerdote, il mio 'business' è Gesù Cristo; per questo il visto da business va bene".
"I muttawa mi hanno poi costretto a rivestirmi con i paramenti e mi hanno fatto stare di fronte al tavolo usato come altare e davanti a un crocefisso. Hanno scattato un sacco di foto, come prova che io ero un prete cristiano che svolgeva attività religiose illecite".
"A un certo punto mi fanno parlare al telefono con il quartier generale della Muttawa. Qualcuno mi grida con arroganza: Non sai che posso mandarti in prigione anche per un anno? Io ho detto loro che svolgevo il mio lavoro religioso per la 'mia' gente e non per la loro. Gli ho detto che non sono colpevole, sono venuto cosicché, essendo buoni cristiani, possono amare e servire meglio il vostro popolo. Questo è il mio business".
La muttawa ha portato Thomas, un guardiano sudanese, e me in un ufficio.
La polizie religiosa era entrata nella sala dove avevo finito di celebrare la messa intorno alle 22.30 e mi hanno interrogato fino alle 3 di notte, prima di portarmi al comando. Da lì sono stato portato alla stazione di polizia di Al Badia. Alle 4.30 sono stato gettato nella cella della polizia. Ho provato una sensazione di pace ed un'intensa gioia: Cristo era nato in una stalla, una mangiatoia, ed era morto sulla Croce. Per me partecipare alla sua sofferenza, proprio una settimana prima del Venerdì Santo era un dono speciale. Io ero benedetto".
La sera di sabato 8 sono atterrato a Trivandrum (Kerala), ospite nella casa dell'arcivescovo.
19/11/2018 12:01