12/02/2025, 14.12
ISRAELE - PALESTINA
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P. Faltas: 'Tregua a rischio. Nuova guerra a Gaza (e in Cisgiordania) drammatica'

Per il francescano l’accordo aveva portato “un po’ di speranza” ma ora “la stanno perdendo tutti” con la nuova escalation fra Hamas e Israele. E avverte: “Nessuno sa davvero” cosa possa succedere. Trump minaccia “l’inferno” se non saranno liberati “tutti” i prigionieri, la destra israeliana preme per l’azione militare. Il fronte arabo contro l’esodo dei palestinesi dalla Striscia. 

Gerusalemme (AsiaNews) -  “La tregua aveva portato un po’ di speranza nella popolazione, ora la stanno perdendo: tutti, israeliani e palestinesi, sono preoccupati per quanto potrà accadere sabato” 15 febbraio a mezzogiorno ora locale, termine fissato da Israele per il rilascio dei prigionieri da parte di Hamas, perché “nessuno lo sa davvero”. È quanto racconta ad AsiaNews p. Ibrahim Faltas, vicario generale della Custodia di Terra Santa di Gerusalemme, sottolineando che “vi sono minacce da tutte le parti ed è un momento di forte tensione. L’attesa è alta, il clima è teso, vi è un quadro diffuso di malessere”. “Vi è il rischio concreto - avverte il sacerdote - che possa tornare la guerra e, per questo, la gente sta male, non ce la fa più, è una cosa orribile”. 

“Non solo a Gaza - racconta p. Faltas - ma nella stessa Cisgiordania vi sono moltissimi problemi, migliaia di persone senzatetto, una realtà terribile e drammatica”. “L’auspicio di tutti - continua - è che non torni più la guerra a Gaza e che finisca in Cisgiordania” dove si registrano continue operazioni militari ed episodi di violenza, questo è “ciò che la gente si aspetta. Vivo da 36 anni in Terra Santa e non ho mai sperimentato una situazione simile: ho vissuto la prima Intifada, la seconda, l’assedio alla Natività ma mai una cosa simile”. Per allentare la tensione, avverte, “non solo la comunità internazionale, ma soprattutto l’America devono trovare una via di uscita. E l’unica soluzione a questo problema sono i due Stati per due popoli”.  

Intanto continua a muoversi la diplomazia, con l’incontro di ieri a Washington fra il re giordano Abdullah e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che in precedenza aveva ricevuto il premier israeliano Benjamin Netanyahu, primo leader straniero dall’elezione. Anche in queste ore l’inquilino della Casa Bianca ha rilanciato il progetto di un esodo volontario dei palestinesi dalla Striscia, che sotto il controllo americano diventerà una “riviera” sul Mediterraneo. Un progetto caldeggiato dalla leadership israeliana, ma respinto con forza e unità dal fronte arabo: dal monarca giordano - che in conferenza stampa non ha risposto direttamente sulla questione, anticipando però l’arrivo di 2mila bambini malati dalla Striscia bisognosi di cure - al principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Mbs), fino all’Egitto vi è un secco “no” al piano Usa.

In risposta, proprio in queste ore ma senza spiegarlo nei dettagli l’Egitto ha detto di aver elaborato un progetto alternativo a quello statunitense, che definisce una “visione completa” per la ricostruzione di Gaza senza lo sfollamento dei suoi abitanti. Riyadh, intanto, ha ribadito la posizione - più volte sottolineata in questi giorni - che la nascita di uno Stato palestinese è condizioni imprescindibile per la normalizzazione dei rapporti con Israele, obiettivo della politica trumpiana in Medio oriente nel novero degli “Accordi di Abramo”.

Nel frattempo, sul fronte militare l’esercito israeliano ha convocato i riservisti in vista di una possibile ripresa dei combattimenti a Gaza, se Hamas non rispetterà la scadenza fissata per il rilascio degli ostaggi. Una escalation che, con tutta probabilità, segnerà la fine di una fragilissima tregua sottoscritta il 19 gennaio scorso e che, nonostante tutto, aveva garantito un po’ di respiro alla popolazione di Gaza nell’ultimo periodo.

Trump ha minacciato di “scatenare l’inferno” nella Striscia se non verranno liberati “tutti gli ostaggi”. Anche il premier israeliano ha confermato la ripresa di “intensi combattimenti” se Hamas non rispetterà la scadenza, ma non ha specificato se la condizione è quella del rilascio di tutti i prigionieri o di quelli concordati nella prima fase del cessate il fuoco. Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich preme per l’escalation militare, alcune fonti governative affermano di aspettarsi il rilascio di “tutti” gli ostaggi, altrimenti sarà guerra.

“Anche i cristiani, come tutti gli altri, vivono questa fase con preoccupazione” afferma p. Faltas, il quale rilancia i timori di un esodo: “Il problema - spiega - è che tanti cristiani, soprattutto nella zona di Betlemme, stanno andando via. La gente scappa per cercare un futuro, per una vita migliore rispetto a quella che si prospetta rimanendo qui. Tutti dicono - conclude - che non abbiamo futuro in questa terra, e per questo scappano”. 

Infine, fra gli episodi più controversi dei giorni scorsi vi è anche il raid della polizia israeliana alla storica libreria Educational Bookshop, a Gerusalemme est, con il fermo dei titolari Ahmad e Mahmoud Muna, senza una chiara imputazione. I due palestinesi sono stati rilasciati dopo due notti trascorse sotto custodia, ma restano soggetti agli arresti domiciliari e non potranno accedere al negozio - che resterà chiuso - per i prossimi 20 giorni. Secondo le autorità israeliane, all’interno della libreria vi sarebbero stati volumi contenenti “incitamento e sostegno al terrorismo”, fra i quali un testo per bambini in arabo intitolato “Dal fiume al mare”. Una frase associata alla terra contesa dal Giordano al Mediterraneo e che prefigurerebbe la cancellazione di Israele.

In risposta agli arresti si è registrata una dura reazione di gruppi attivisti, comunità culturale e ambienti diplomatici occidentali, che parlano di misura sproporzionata. Timori condivisi da Bernard Sabella, già rappresentante di Fatah e segretario esecutivo del servizio ai rifugiati palestinesi del Consiglio delle Chiese del Medio oriente: “La situazione qui sta diventando sempre più terribile e le persone si sentono stressate. L’incidente più recente, con l’incursione nella libreria didattica - racconta il professore ad AsiaNews - ha lasciato molti di noi sbalorditi. Per la prima volta nella mia vita mi sento molto pessimista, perché non vedo una via di uscita” e, avverte, se il presidente Usa Donald Trump prosegue con questa linea “gli scenari peggiori devono ancora arrivare”.

(Nella foto un momento di preghiera nella parrocchia della Sacra Famiglia, a Gaza)

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