Ostaggi a Gaza: il silenzio pesante sui migranti asiatici in mano ad Hamas
Israele celebra il rilascio di Romi Gonen, Doron Steinbrecher ed Emily Damari nel quadro della fragile tregua. Tuttavia, resta il mistero sulla sorte dei lavoratori stranieri ancora ostaggio nella Striscia. Fra questi vi sono sei cittadini thai e un nepalese sulla cui sorte nulla è trapelato nemmeno durante i negoziati di questi giorni. I timori delle famiglie che “tutto possa crollare” prima del loro ritorno.
Gerusalemme (AsiaNews) - In queste ore frenetiche di gioia mista a speranza in Israele per il ritorno del primo gruppo di ostaggi nelle mani di Hamas a Gaza in seguito alla firma della tregua, in Thailandia e in Nepal ci si interroga sulla sorte dei concittadini tuttora sequestrati. Essi rappresentano il “volto dimenticato” di questa tragedia che, innescata dall’attacco del gruppo estremista che controlla la Striscia il 7 ottobre 2023, ha causato 1200 vittime sul versante israeliano e oltre 47mila morti palestinesi, in maggioranza civili fra cui donne e bambini. E che fanno da contraltare alle immagini e ai video rilanciati in queste ore di Romi Gonen, Doron Steinbrecher ed Emily Damari, i primi tre ostaggi rilasciati nell’ambito dell’accordo sul cessate il fuoco. Familiari e connazionali si interrogano sulla loro sorte, che resta in gran parte avvolta nel mistero secondo un copione già letto più volte in questi 15 mesi di conflitto.
Al riguardo, l’ambasciata israeliana a Bangkok ha dichiarato di non avere alcuna notizia certa sui sei ostaggi thailandesi che sono ancora sotto la custodia di Hamas. Degli otto ancora nelle mani del gruppo estremista almeno due sarebbero morti, degli altri - fra i quali vi sarebbe anche il cristiano Watchara Sriaoun - secondo una fonte della rappresentanza diplomatica “non ci sono ancora informazioni” e la loro sorte, compreso il luogo in cui sono detenuti, risulta sconosciuta.
Nessuno dei thailandesi figura nella lista dei 33 nomi oggetto della prima fase di scambio dei prigionieri, e che dovrebbero essere liberati o i cui corpi dovrebbero essere restituiti nei primi 42 giorni dall'entrata in vigore del cessate il fuoco. Dei 31 thai che lavoravano nei kibbutz intorno a Gaza presi in ostaggio il 7 ottobre 2023, 23 sono stati rilasciati (assieme a un filippino) durante la prima tregua nel novembre 2023. Due sono stati confermati morti lo scorso maggio, mentre sei sono ancora sotto la custodia di Hamas.
Un clima analogo di attesa e speranza, pur in un contesto di profonda incertezza, si respira anche in un remoto villaggio nell’ovest del Nepal, a migliaia di chilometri di distanza da Israele. Come racconta la Bbc, Mahananda Joshi trascorre gran parte della giornata con il telefono sotto mano, nell’attesa di ricevere notizie sulla sorte del figlio Bipin Joshi, 23enne studente di agricoltura rapito da Hamas e tenuto in ostaggio a Gaza. L’ultima volta che Padma, madre di Bipin, gli ha parlato è stato il 6 ottobre 2023, il giorno prima del rapimento. Secondo alcune fonti il giovane sarebbe ancora vivo, anche se l’ambasciatore di Kathmandu in Israele Dhan Prasad Pandit ha dichiarato di non avere ancora “alcuna informazione concreta” sulle sue condizioni o sul luogo in cui si trova.
La donna racconta i mesi drammatici di incertezza e il sentimento di attesa che, ancora oggi, prevale e caratterizza le sue giornate. “Sento che oggi o domani - racconta - mi manderà un messaggio dicendo: mamma, ora sono libero e tornerò a casa immediatamente”. In realtà, seppur vi siano speranze che il giovane possa essere liberato e tornare a casa, la liberazione difficilmente potrà avvenire a breve. Difatti, Bipin e gli altri nove lavoratori stranieri ancora prigionieri nella Striscia non dovrebbero essere liberati in questa prima - delle tre - fase del cessate del cessate il fuoco in cui viene data priorità a donne, bambini e anziani. Tuttavia, la paura della famiglia è che, nell’attesa, il quadro possa cambiare, la tregua naufragare e tornino a risuonare le armi come ha peraltro minacciato (anche) in queste ore il premier israeliano Benjamin Netanyahu. E come chiedono ampi settori dell’esecutivo, in particolare l’ala religiosa e radicale legata al ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e al collega della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir. “Tutto potrebbe crollare” conclude Padma, con le lacrime agli occhi.
27/10/2023 13:29