Orissa, pubblicato un rapporto completo sui pogrom anticristiani del 2008
In 197 pagine, il National People’s Tribunal (Npt) del National Solidarity Movement (piattaforma nazionale di attivisti per i diritti umani) traccia un quadro completo delle violenze contro i cristiani del Kandhamal da parte di fondamentalisti indù; il contesto; l’impatto umano, socioeconomico e culturale delle aggressioni; la risposta delle autorità; le possibili soluzioni per restaurare la giustizia e la dignità dei sopravvissuti.
Bhubaneswar (AsiaNews) – Il National People’s Tribunal (Npt) organizzato dal National Solidarity Movement – piattaforma nazionale che riunisce attivisti sociali – ha diffuso un rapporto di 197 pagine sulle violenze anticristiane in Kandhamal, perpetrate dalle forze fondamentaliste indù nel 2008, che hanno causato la morte di centinaia di persone. Basato sulle testimonianze dirette di 45 persone (vittime, sopravvissuti e loro rappresentanti), il documento traccia un quadro completo di quanto accaduto prima, durante e dopo i pogrom. Il rapporto è diviso in quattro parti: nella prima si presenta il contesto che ha portato all’esplosione delle violenze; nella seconda si esamina l’impatto umano, culturale e socioeconomico delle aggressioni; la terza parte analizza la risposta delle autorità alle violenze; la quarta e ultima parte propone soluzioni possibili e praticabili per dare giustizia ai sopravvissuti. Il Npt ha compiuto questo lavoro per assistere le vittime di pogrom; spingere a fare giustizia; ridare dignità e pace ai sopravvissuti.
Anzitutto, il rapporto stabilisce che la violenza mirata contro le comunità adivasi e dalit cristiane in Orissa viola il diritto fondamentale alla vita, alla libertà e all’uguaglianza, garantito dalla Costituzione indiana e affermato da diverse convenzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, quali l’Iccpr (International Covenant on Civil and Political Rights), l’Icescr (International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights) e il Cerd (Committee on the Elimination of Ratial Discrimination). Inoltre, in base alle leggi internazionali la brutalità delle aggressioni rientra nella definizione di “tortura” e di “crimini contro l’umanità”, poiché le forze fondamentaliste indù hanno usato le conversioni religiose come pretesto per una mobilitazione politica dalle orribili forme di violenza e discriminazione.
Donne e bambini rappresentano la fascia sociale più colpita. In particolare, le prime sono vittime del silenzio in materia di aggressioni sessuali, a vari livelli: nelle indagini, nei rapporti ufficiali, nei processi. Ancora oggi madri e figlie provano un forte senso di vulnerabilità, alimentato dalle continue minacce di stupri, usate dagli aggressori per intimorire gli uomini delle famiglie. L’impoverimento delle vittime in seguito alle violenze è ciò che ha colpito di più i bambini, compromettendo il loro sviluppo fisico, psicologico e intellettuale. Molti sono vittime di gravi traumi, perché sono stati testimoni di violenze contro i loro genitori, ma non hanno mai ricevuto assistenza psicologica. In più, la maggior parte di loro non ha mai ricevuto un’educazione di base, per difficoltà economiche o paura di discriminazioni da parte delle autorità scolastiche.
Da un punto di vista culturale e socioeconomico, le violenze dell’Orissa hanno prodotto un certo numero di sfollati (circa 50mila nel 2008; a tutt’oggi almeno 10mila). Questo, insieme alla distruzione di chiese e luoghi di culto, ha creato un forte senso di sradicamento nei sopravvissuti, che non più liberi di praticare la loro religione si sentono cittadini di seconda classe.
Accanto a tutto questo, il ruolo ambiguo delle autorità – dalle forze di polizia, ai giudici, allo Stato stesso –, la loro connivenza con le forze fondamentaliste e le tante omissioni hanno sabotato in modo deliberato i processi di giustizia. Nello specifico, il governo dell’Orissa avrebbe abdicato ai propri doveri costituzionali di proteggere le vite e i diritti umani delle popolazioni più vulnerabili: proibendo l’intervento di ong nella fase di soccorso e riabilitazione delle vittime; creando campi profughi che privano gli sfollati del diritto a una vita dignitosa, come stabilito dalla Costituzione indiana e riconosciuto nei principi guida Onu del 1998 sugli sfollati interni.
Il rapporto si conclude con una serie di suggerimenti per riavviare il processo di giustizia per i cristiani del Kandhamal. Per quanto riguarda la sfera culturale e socioeconomica: applicare il National Rural Employment Guarantee Act (Nrega) e tutti gli altri progetti di sostentamento statali e nazionali, senza discriminazione di casta, religione e genere; migliorare le pensioni per le vedove; offrire un lavoro ai familiari delle vittime e reintegrare chi era impiegato in posti statali prima delle violenze, trasferendoli in zone sicure; fornire prestiti a un tasso agevolato per avviare piccole imprese. I campi profughi devono rispettare gli standard internazionali minimi di igiene e vivibilità. Inoltre, in essi si deve fornire assistenza psicologica e un’istruzione minima ai bambini.
Da un punto di vista legale, oltre alla richiesta di riparazioni per sfollati e familiari delle vittime, il documento chiede di formare uno Special Investigation Team (Sit) perché riesamini tutti i Fir (First Information Reports, le denunce) già registrati e i processi già avvenuti, per stabilire l’eventuale necessità di riaprire le indagini o trasferire i casi fuori dal Kandhamal. Inoltre, nel rapporto si chiede di fornire protezione alle vittime e ai testimoni prima, durante e dopo i processi, in base alle linee guida stabilite dalle Corti supreme di New Delhi, del Punjab e di Haryana. (NC)
Anzitutto, il rapporto stabilisce che la violenza mirata contro le comunità adivasi e dalit cristiane in Orissa viola il diritto fondamentale alla vita, alla libertà e all’uguaglianza, garantito dalla Costituzione indiana e affermato da diverse convenzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, quali l’Iccpr (International Covenant on Civil and Political Rights), l’Icescr (International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights) e il Cerd (Committee on the Elimination of Ratial Discrimination). Inoltre, in base alle leggi internazionali la brutalità delle aggressioni rientra nella definizione di “tortura” e di “crimini contro l’umanità”, poiché le forze fondamentaliste indù hanno usato le conversioni religiose come pretesto per una mobilitazione politica dalle orribili forme di violenza e discriminazione.
Donne e bambini rappresentano la fascia sociale più colpita. In particolare, le prime sono vittime del silenzio in materia di aggressioni sessuali, a vari livelli: nelle indagini, nei rapporti ufficiali, nei processi. Ancora oggi madri e figlie provano un forte senso di vulnerabilità, alimentato dalle continue minacce di stupri, usate dagli aggressori per intimorire gli uomini delle famiglie. L’impoverimento delle vittime in seguito alle violenze è ciò che ha colpito di più i bambini, compromettendo il loro sviluppo fisico, psicologico e intellettuale. Molti sono vittime di gravi traumi, perché sono stati testimoni di violenze contro i loro genitori, ma non hanno mai ricevuto assistenza psicologica. In più, la maggior parte di loro non ha mai ricevuto un’educazione di base, per difficoltà economiche o paura di discriminazioni da parte delle autorità scolastiche.
Da un punto di vista culturale e socioeconomico, le violenze dell’Orissa hanno prodotto un certo numero di sfollati (circa 50mila nel 2008; a tutt’oggi almeno 10mila). Questo, insieme alla distruzione di chiese e luoghi di culto, ha creato un forte senso di sradicamento nei sopravvissuti, che non più liberi di praticare la loro religione si sentono cittadini di seconda classe.
Accanto a tutto questo, il ruolo ambiguo delle autorità – dalle forze di polizia, ai giudici, allo Stato stesso –, la loro connivenza con le forze fondamentaliste e le tante omissioni hanno sabotato in modo deliberato i processi di giustizia. Nello specifico, il governo dell’Orissa avrebbe abdicato ai propri doveri costituzionali di proteggere le vite e i diritti umani delle popolazioni più vulnerabili: proibendo l’intervento di ong nella fase di soccorso e riabilitazione delle vittime; creando campi profughi che privano gli sfollati del diritto a una vita dignitosa, come stabilito dalla Costituzione indiana e riconosciuto nei principi guida Onu del 1998 sugli sfollati interni.
Il rapporto si conclude con una serie di suggerimenti per riavviare il processo di giustizia per i cristiani del Kandhamal. Per quanto riguarda la sfera culturale e socioeconomica: applicare il National Rural Employment Guarantee Act (Nrega) e tutti gli altri progetti di sostentamento statali e nazionali, senza discriminazione di casta, religione e genere; migliorare le pensioni per le vedove; offrire un lavoro ai familiari delle vittime e reintegrare chi era impiegato in posti statali prima delle violenze, trasferendoli in zone sicure; fornire prestiti a un tasso agevolato per avviare piccole imprese. I campi profughi devono rispettare gli standard internazionali minimi di igiene e vivibilità. Inoltre, in essi si deve fornire assistenza psicologica e un’istruzione minima ai bambini.
Da un punto di vista legale, oltre alla richiesta di riparazioni per sfollati e familiari delle vittime, il documento chiede di formare uno Special Investigation Team (Sit) perché riesamini tutti i Fir (First Information Reports, le denunce) già registrati e i processi già avvenuti, per stabilire l’eventuale necessità di riaprire le indagini o trasferire i casi fuori dal Kandhamal. Inoltre, nel rapporto si chiede di fornire protezione alle vittime e ai testimoni prima, durante e dopo i processi, in base alle linee guida stabilite dalle Corti supreme di New Delhi, del Punjab e di Haryana. (NC)
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