Oppositori gettati vivi nel forno crematorio di Yangon
Fonti di AsiaNews confermano la notizia di un forno crematorio alla periferia dell’ex capitale per occultare il numero delle vittime e aggiungono: vi finiscono anche i detenuti gravemente feriti durante le manifestazioni di fine settembre. La giunta ha sempre più paura dei monaci: imposto il trasferimento fuori città dei monasteri buddisti più grandi e la chiusura dei seminari.
Yangon (AsiaNews) – La repressione in Myanmar diventa aperta persecuzione religiosa e la crudeltà usata contro i manifestanti, che chiedono la fine della dittatura, supera ogni immaginazione. Fonti di AsiaNews confermano l’esistenza di un forno crematorio alla periferia di Yangon, dove i militari gettano oltre ai cadaveri degli oppositori anche i detenuti feriti gravemente e arrestati durante le dimostrazioni anti-regime di queste settimane. In questo modo la giunta militare spererebbe di rendere impossibile un conteggio certo delle vittime.
Le stesse fonti - anonime per ovvi motivi di sicurezza - parlano di misure assurde e persecutorie contro i monasteri buddisti, da dove è partita la sollevazione pacifica contro i generali. Il governo, porta avanti una campagna diffamatoria contro i monaci, i quali - secondo i media di Stato – non vivono secondo l’insegnamento di Budda e per di più, violando anche la legge, meritano solo di essere puniti. Ma come criminali, sottolineano, e non come prigionieri politici. La macchina della propaganda, intanto, continua ad inscenare cortei a sostegno del governo in tutto il Paese: ogni famiglia deve “contribuire” con uno o due membri, altrimenti rischia una multa o addirittura 3 mesi di carcere, spiegano alcuni cittadini birmani. Che aggiungono: “La gente partecipa, ma ormai rifiuta di gridare gli slogan imposti dalla giunta”.
I toni ormai sono quelli di una vera e propria persecuzione religiosa. Le autorità nel fine settimana hanno chiamato gli abati dei monasteri più grandi del Paese e imposto il trasferimento dei maggiori centri religiosi fuori dalle città nel tentativo di sedare le proteste. “Siamo preoccupati per la sorte di questi monaci – dicono da Yangon – non sappiamo di cosa vivranno fuori dalle città, dove sarà difficile raccogliere le elemosine, su cui si basa la loro sussistenza”. Il governo teme soprattutto l’attività dei novizi buddisti, in prima fila nelle manifestazioni che vanno avanti da fine agosto. Per questo ha chiesto la chiusura dei seminari buddisti, ordinando che tutti gli studenti facessero ritorno ai villaggi di origine.
Le dure critiche internazionali e l’ipotesi di sanzioni Onu non sembrano intimorire i generali birmani, che da 45 anni reggono il Paese con pugno di ferro. Ieri sono stati condotto nuovi rastrellamenti e arresti. Le autorità sostengono di aver trovato armi, come coltelli e proiettili, in alcuni monasteri. Secondo il quotidiano governativo “The New Light of Myanmar”, sono almeno 135 i monaci ancora agli arresti e 78 le persone detenute da ieri per interrogatori. Stime ritenute false da ambienti diplomatici e attivisti, che fissano ad oltre 6mila gi arresti e in “centinaia” i morti. “I soldati -raccontano testimoni oculari ad AsiaNews – spogliano i monaci arrestati delle loro tuniche, come per non compiere un sacrilegio, e poi durante gli interrogatori li colpiscono e li torturano”.
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