Onu e Stati Uniti condannano i nuovi insediamenti a Gerusalemme est
Unanimi reazioni negative all’annuncio del Ministro degli interni israeliano, arrivato mentre il vicepresidente americano è ospite del Paese per tentare di rilanciare il processo di pace. Anche all’interno di Israele giungono critiche: per Kadima è “un nuovo record della stupidità diplomatica”. I palestinesi chiedono una reazione concordata da parte dei Paesi arabi.
Gerusalemme (AsiaNews/Agenzie) – Kadima, partito moderato, l’ha definito “un nuovo record della stupidità diplomatica”, il ministro della difesa Euhd Barak, ha fatto sapere di essere “arrabbiato”, il ministro del welfare, Isaac Herzog, ha parlato di “grande errore”. Sono alcune delle razioni interne in Israele alla decisione del ministro degli interni e vice-premier Eli Yishai - del partito della destra religiosa Shas - di consentire la costruzione di 1.600 nuove abitazioni a Ramat Shlomo, un insediamento di ebrei ultra-ortodossi alla periferia di Gerusalemme est.
Le reazioni di membri laburisti del governo israeliano si uniscono a quelle che ieri hanno visto l’esplicita condanna della decisione di Yishai da parte del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e la protesta del vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che da lunedì è in Israele per tentare di rilanciare il processo di pace. Il primo ha anche ricordato che “per la legge internazionale gli insediamenti sono illegali”, mentre Biden ha dichiarato che “la sostanza e la scelta di tempo dell’annuncio, fatto in prossimità dell’avvio dei colloqui, è esattamente il tipo di passo che mina la fiducia della quale ora abbiamo bisogno”.
Molto dura, come prevedibile, la reazione dei palestinesi, con il portavoce del presidente dell’Anp, Nabil Abu Rudeineh, che ha parlato di “provocazione” e ha chiesto agli Stati Uniti ”rispondere con misure concrete”.
E’ proprio la presenza di Biden in Israele (nella foto: con Netanyahu) a rendere politicamente infelice la decisione del governo Netanyhau. Che al vicepresidente americano ha detto di non aver avuto notizia della decisione del suo ministro prima che venisse annunciata, assicurandolo che “nessuno sta cercando di creare imbarazzo o minare la sua visita”. Ma un consigliere comunale di Gerusalemme, Meir Margalit, afferma che, al contrario, “la scelta di tempo non è casuale. E’ la risposta di Eli Yishai alla dichiarazione di Netanyahu sui nuovi colloqui con l’Autorità palestinese”. E “il fatto che Yishai non ha voluto aspettare qualche giorno dopo la partenza di Biden prova che il suo obiettivo era proprio quello di dare uno schiaffo in faccia all’amministrazione Usa”.
Da parte palestinese, nel giorno nel quale Biden incontra il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, da un lato ci si chiede se “il governo israeliano non vuole la pace, non vuole una soluzione?”, dall’altro si fa sapere che lo stesso Abbas ha telefonato al segretario della Lega araba, Amr Moussa, per chiedergli di informare i Paesi arabi per dare una risposta concertata al programma di edificazioni.
La missione di Biden in Medio Oriente è mirata a “colloqui indiretti” tra Israele, palestinesi, Giordania ed Egitto per far ripartire un processo di pace fermo ormai dal 2008. All’azione del vicepresidente dovrebbe dar seguito l’inviato speciale degli Stati Uniti per il Medio Oriente, George Mitchell, l’arrivo del quale è previsto per la settimana prossima. Le trattative dovrebbero affrontare le questioni chiave del contrasto, dai confini alla sicurezza, dagli insediamenti allo status di Gerusalemme, ai rifugiati e, secondo quanto detto da Mitchell, “andare avanti per tutto il tempo necessario”.
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