Onu all’Uzbekistan: bene le riforme, ma manca la libertà religiosa
Il rapporto pubblicato il 2 marzo sottolinea le criticità del Paese. Le attività religiose devono essere approvate, divieto all’attività missionaria, detenzioni per motivi religiosi e proibizione all’insegnamento della religione nelle scuole. Il diritto alla libertà religiosa è “intriseco” in ogni essere umano e non può essere una concessione dello Stato.
Tashkent (AsiaNews) – La libertà religiosa in Uzbekistan deve essere rispettata perché non è una “concessione” dello Stato e “una minaccia” alla sua stabilità, ma un “diritto intrinseco” dell’essere umano. È quanto afferma Ahmed Shaheed, Special Rapporteur dell’Onu per la libertà religiosa, in un documento presentato il 2 marzo in cui riepiloga la propria visita nella ex-Repubblica sovietica, lo scorso ottobre.
Il funzionario dell’Onu riconosce importanti passi e riforme compiuti nel corso dell’ultimo anno dal governo uzbeko – e la disponibilità del presidente Shavkat Mirziyoyev a venire incontro alle sue richieste, permettendogli libero movimento – ma mette in guardia su un punto: in Uzbekistan si è lontani dal godere della libertà religiosa.
Shaheed osserva che in Uzbekistan la libertà religiosa è sottoposta a dure restrizioni per via della rigida interpretazione del concetto di laicità, e in nome della lotta all’estremismo religioso – di cui manca una chiara definizione: “La laicità, come interpretata in Uzbekistan, non sembra mirante a fornire spazio alle religioni o alle fedi o alla loro manifestazione. Contrastare l’estremismo, religioso o meno, e promuovere la tolleranza fra i gruppi e l’armonia interetnica hanno la priorità sul diritto alla libertà di religione”. Le fedi e le religioni servono a mostrare “le diversità culturali” del Paese, ma nel momento in cui i fedeli “cercano di praticare la loro religione o credo più seriamente, si ritrovano con un limitato spazio o diritto di movimento”. Il rischio in cui incorrono è quello di ”essere identificati come estremisti”. Nel Paese, infatti, le religioni sono considerate un segnale di “dissenso”.
Nel documento, si evidenziano diverse criticità: fra queste, è che sebbene la Costituzione sancisca la libertà di culto, le attività religiose sono permesse solo se riconosciute dal ministero della Giustizia. Inoltre, diversi gruppi minoritari, come i Testimoni di Geova, non riescono ad ottenere la registrazione in diverse regioni, nonostante i diversi tentativi; le loro attività vengono sottoposte a sanzioni penali. “Secondo il diritto internazionale – ricorda il funzionario Onu – il diritto a manifestare la propria fede in pubblico o privato e da soli o in unione con altri è un diritto intrinseco ed inalienabile che non è condizionato da una specifica approvazione statale o registrazione amministrativa”.
Inoltre, il Rapporteur critica il divieto al proselitismo e alle attività missionarie, considerate in Uzbekistan come una minaccia, poiché “conversioni non etiche” ottenute attraverso incentivi materiali potrebbero causare tensioni sociali. Nel documento, Shaheed commenta che tale proibizione viola il diritto alla libertà religiosa e la libertà d’espressione. Shaheed contesta al Paese anche il divieto ad insegnare la religione nel sistema scolastico, ribadendo che “il diritto dei genitori a fornire ai loro figli l’istruzione morale e religiosa sulla base delle proprie convinzioni” è un elemento chiave del diritto alla libertà religiosa sancito dall’art. 18.4 del Patto per i diritti civili e politici. In aggiunta, è problematica la detezione di migliaia di “prigionieri religiosi” – fra i 5mila e 15mila – e la mancata chiarezza sulle loro colpe, se responsabili di episodi di violenza o per aver praticato la loro religione.
Nel 2017, 18mila sospettati di estremismo sono stati rimossi dalla lista nera di Tashkent. L’Uzbekistan - afferma il Rapporteur - deve continuare nella strada delle riforme e intraprendere le misure necessarie a passare dalla “tolleranza” delle religioni al vero godimento del diritto.
17/05/2017 12:34
30/05/2023 08:49