Onu, Ue o Usa, nulla spaventa la giunta appoggiata da Pechino
Yangon (AsiaNews) – Condanne dell’Onu, minacce di sanzioni da parte di Unione europea e Stati Uniti non scuotono il regime militare birmano, che continua la violenta repressione del movimento democratico e la sua propaganda anti-occidentale. Anche oggi l’organo di stampa della giunta, New Light of Myanmar, si scaglia contro le potenze occidentali, colpevoli di “fomentare” le massicce proteste verificatesi a fine settembre nel Paese. Secondo il quotidiano, i dimostranti “stanno mettendo in scena un copione scritto da esperti stranieri”.
Le pressioni internazionali
In modo più o meno deciso, a seconda degli interessi in gioco, la comunità internazionale continua a sollecitare il regime di Naypyidaw, perché metta fine alla repressione e apra dialoghi con l’opposizione democratica. Gli Stati Uniti, finora il Paese più apertamente critico della giunta, minacciano nuove misure contro i generali al potere da 45 anni, se non finiranno le “atrocità” commesse contro il loro stesso popolo. Mentre l’Unione Europea ha fatto sapere che il prossimo 15 ottobre valuterà le sanzioni da adottare contro l’ex Birmania. Dal canto suo, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è riuscito ad approvare solo una dichiarazione in cui “deplora fermamente” la violenza usata contro le manifestazioni pacifiche ad opera del regime del Myanmar. I 15 Paesi membri del Consiglio chiedono di liberare tutti i detenuti politici, tra cui la premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi e di avviare un dialogo con i rappresentanti dell’opposizione e dei gruppi etnici. La dichiarazione, che non ha però valore vincolante, sarà votata domani e adottata nella stessa giornata. Il testo è stato modificato per superare le resistenze di Cina e Russia, le quali temevano che una dichiarazione troppo forte potesse “isolare ulteriormente la giunta”.
Analisti sottolineano, però, che ogni sanzione, risoluzione o condanna non servirà a nulla finché ad essere messa alle strette non sarà Pechino, principale sostenitrice della dittatura dei generali. Per questo bisogna fare pressione direttamente sulla Cina. Pechino ha enormi interessi in Myanmar: rifornisce i militari di armi per ripagare i legni pregiati, i minerali, il gas e il petrolio che importa; costruisce strade e inonda di suoi prodotti le regioni di confine.
Ancora arresti nel Paese
Nonostante le parziali aperture dei generali a una non meglio precisata fase di dialogo con Suu Kyi, la situazione non cambia all’interno del Paese. I soldati, che di giorno non si vedono più in forze per le strade, spadroneggiano di notte durante il coprifuoco. Democratic Voice of Burma, sito internet dei dissidenti birmani in Norvegia, denuncia arresti indiscriminati a Mandalay di cittadini che “violano il coprifuoco”, in vigore dalle 9 della sera alle 5 della mattina. Si tratta di persone che ritardano nel rincasare da lavoro, vengono fermate da ufficiali che chiedono loro soldi (in genere circa 30mila kyat) per non essere arrestati; se il malcapitato dice di non averne viene portato in prigione.