Olmert e Abbas impegnati a stilare una Dichiarazione di principi per la pace
di Arieh Cohen
Il documento dovrebbe essere pronto per la Conferenza di pace che si terrà in novembre, presieduta dalla Rice. Il problema dei rifugiati palestinesi e dei coloni israeliani.
Tel Aviv (AsiaNews) – Le prospettive di pace arabo-iraeliana sembrano sempre più reali, come non succedeva dal 1991, ai tempi della Conferenza di pace di Madrid. Fonti palestinesi e israeliane confermano ad AsiaNews e a diversi media che il presidente dell’Olp Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e il primo ministro israeliano Ehud Olmert sono impegnati a negoziare una Dichiarazione di principi per la pace fra Israele e Palestina. Essi vogliono sia pronta per la prossima Conferenza di pace programmata in autunno (probabilmente in novembre) e annunciata da George W.Bush. Condoleezza Rice, segretario di stato americano, sta seguendo attivamente i dialoghi e ha in programma di partecipare come presidente alla Conferenza.
Alla Conferenza parteciperanno anche alcuni importanti paesi arabi, fra cui Egitto, Giordania e Arabia Saudita. I primi hanno già firmato trattati di pace con Israele; l’ultima non lo ha fatto, ma è autrice della storica iniziativa di pace proposta dalla Lega Araba, adottata nel 2002 a Beirut e confermata innumerevoli volte. Se si giunge alla Dichiarazione di principi ed essa è adottata dalla Conferenza, si potranno varare dei dettagliati negoziati di pace fra Israele e l’Olp.
Nulla è ancora emerso sui contenuti della Dichiarazione, ma si pensa che essa rifletta l’iniziativa della Lega Araba, che offriva a Israele la normalizzazione con tutti i suoi membri, posto che Israele concluda necessari trattati di pace con Palestina, Siria, Libano.
In effetti, è difficile immaginare di raggiungere la pace con la Palestina, senza accordi in contemporanea con Siria e Libano. Damasco continua a chiedere da tempo la ripresa dei negoziati di pace con Israele e ha un enorme potenziale, capace di distruggere ogni accordo con la Palestina, se viene lasciata fuori.
Quanto a un trattato di pace fra Israele e Palestina, i suoi contenuti sono chiari fin dal 2000 e dall’inizio del 2001, ai tempi della cosiddetta Seconda Intifada, quando i negoziati si sono interrotti e una nuova insurrezione armata dei palestinesi dei territori occupati, e una ondata di attacchi terroristi in Israele ha fatto cessare ogni speranza.
Un trattato di pace richiederà la fine dell’occupazione e un accordo equo e negoziato per risolvere il problema dei rifugiati palestinesi della guerra arabo-israeliana del 1948. Si stima che essi siano circa 700 mila, ma i loro discendenti aumentano il numero in modo considerevole. Su questo punto, la proposta della Lega Araba fa riferimento alla Risoluzione Onu 194 che richiede per essi la possibilità del ritorno o di un compenso. Specificando che la soluzione va trovata in accordo, la Lega Araba ha indicato che il ritorno è per ora impossibile dal punto di vista pratico e che la soluzione dovrà prendere la forma di un congruo compenso per le terre e le proprietà dei rifugiati requisite da Israele, e forse anche per le loro sofferenze.
Sarà necessario – in modo inseparabile dalla compensazione – far sì che i rifugiati non siano più considerati tali e possano legalmente stabilirsi in altre nazioni. La maggior parte di essi da lungo tempo è ormai integrata in altri Paesi, ma rimane il problema acutissimo dei 250 - 300 mila rifugiati in Libano.
Il Libano ha finora rifiutato di accettarli come cittadini o residenti con essenziali diritti, e la loro situazione è fra le più gravi. Essendo il Libano una specie di fragile federazione etnico-religiosa, la paura è che, se pienamente accettati, i rifugiati palestinesi potrebbero mettere in crisi il precario equilibrio del potere fra le comunità libanesi autoctone.
A meno che il Libano non divenga una democrazia neutrale dal punto di vista religioso ed etnico, occorrerà trovare altri Paesi ospitanti per i rifugiati palestinesi.
Come è ovvio, è impossibile che Israele e Palestina risolvano da soli il problema dei rifugiati. Per questo, per giungere alla pace, essi hanno bisogno di una vasta mobilitazione internazionale.
É proprio questa l’idea che stava dietro alla Conferenza di Madrid del ’91, che comprendeva anche l’Europa, l’Unione Sovietica (l’attuale Russia) e il Giappone. Ci si aspettava che le regioni più ricche e potenti del mondo giungessero alla conclusione che la soluzione definitiva del conflitto arabo-israeliano in Medio Oriente valeva l’enorme sforzo economico necessario a ricompensare o
stanziare i rifugiati palestinesi, come pure ricompensare e trovare nuove abitazioni per i coloni israeliani che si trovano ora nei territori occupati.
Dal ’91 il numero dei coloni è raddoppiato, giungendo a circa 400 mila. Ma l’investimento economico necessario ha ancora valore, se compariamo questo ai crescenti costi imposti dal conflitto in atto, e dai problemi che esso pone come strumento per incrementare l’estremismo e il terrorismo nel mondo.
Forse la Conferenza di novembre non potrà affrontare e risolvere tutti i problemi. Essa però può servire come una base importante per un rinnovato sforzo di pace, che potrà allargarsi fino alle dimensioni della Conferenza del 1991. Intanto, le preghiere e le speranze dei popoli del Medio Oriente accompagnano i leader e i diplomatici impegnati intensamente nei preparativi.
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