Olimpiadi: si inizia a parlare di boicottaggio
Pechino (AsiaNews) – Pechino ostenta sicurezza, dice che le proteste dei tibetani sono sotto controllo e che ha arrestato appena poche decine di dimostranti, contro le migliaia denunciate dai gruppi pro-Tibet. Intanto il presidente francese Nicolas Sarkozy parla di boicottare i Giochi.
Sarkozy ha ribadito oggi che “sono aperte tutte le opzioni” con riguardo a un boicottaggio, e si è appellato al “senso di responsabilità” dei leader cinesi nel gestire le proteste. Fonti vicine al presidente hanno specificato che potrebbe non partecipare alla cerimonia di apertura dei Giochi l’8 agosto a Pechino, ma hanno escluso un boicottaggio totale.
La posizione francese è per ora isolata, con il presidente Usa George W. Bush, il premier britannico Gordon Brown e altri capi di Stato o di governo che hanno invece confermato la loro presenza l’8 agosto. Ma tutti sollecitano Pechino ad agire in modo “equilibrato”. Masahiko Komura, ministro giapponese degli Esteri, dice che “per la stessa sicurezza della Cina, sarà meglio che sia il più possibile aperta e trasparente” nell’affrontare le proteste. Ieri le Nazioni Unite hanno insistito per la riapertura del Tibet ai visitatori esteri per vedere l’attuale situazione. Gli Stati Uniti si sono espressi contro la chiusura del Tibet ai media stranieri. Anche l’Unione europea ha chiesto alla Cina di non usare la forza contro i dimostranti. Oggi un gruppo selezionato di una decina di giornalisti esteri partirà accompagnato per Lhasa, sotto stretto controllo.
Intanto la Xinhua dice che la Cina ha arrestato solo 29 persone, mentre almeno in 660 si sono consegnate volontariamente alla polizia (280 a Lhasa, 381 a Ngawa nel Sichuan tibetano), la maggior parte dicendosi “indotte o forzate” a partecipare alle proteste. Altre 13 persone sono state arrestate perché durante le proteste hanno “cantato slogan reazionari” e portato “bandiere reazionarie” (con il leone delle nevi, simbolo del Tibet indipendente). Ma i gruppi tibetani in esilio parlano di migliaia di arresti e di torture contro monaci e suore, come pure di almeno 140 morti di cui 19 nel Gansu, rispetto ai 22 ammessi da Pechino a Lhasa.
Verso l'esterno Pechino mostra tanta sicurezza ma Meng Jianzhu, capo del ministero della Pubblica sicurezza che nei giorni scorsi ha visitato Lhasa, ha ripetuto alle forze di sicurezza che “la lotta contro le forze separatiste rimane critica”. Per risolverla, ha annunciato una rigida campagna di “educazione patriottica sulla religione e sulla legge” in tutti i monasteri buddisti tibetani, per insegnare che la religione “non deve interferire con amministrazione, giustizia, istruzione e così via”.