Olimpiadi 2012, i colpevoli del disastro di Bhopal non sponsorizzeranno i Giochi
di Nirmala Carvalho
La multinazionale della plastica Dow Chemicals non apparirà sul rivestimento in tessuto dello stadio olimpico londinese, il cui valore era di 7 milioni di sterline (circa 8,3 milioni di euro). Soddisfazione di atleti, politici e ong contrari allo sponsor. Secondo Lenin Raghuvanshi, attivista per i diritti umani, è importante “creare consapevolezza nel consumatore, vero agente di cambiamento in caso di politiche non etiche”.
Mumbai (AsiaNews) – Gli organizzatori delle Olimpiadi hanno annunciato che la Dow Chemicals, multinazionale della plastica legata al disastro di Bhopal (Madhya Pradesh) non sponsorizzerà Londra 2012. Gruppi per i diritti umani, atleti e politici indiani e inglesi avevano duramente attaccato l’iniziale decisione del comitato dei Giochi di accettare i finanziamenti della società. La Dow, infatti, è l’attuale proprietaria dell’impianto chimico responsabile, nel 1984, dell’incidente che ha provocato la morte di almeno 20mila persone, con conseguenze visibili ancora oggi sulla popolazione.
Il marchio della multinazionale sarebbe dovuto apparire sul rivestimento intorno allo stadio olimpico, lungo 900m e alto 20m, dal valore di 7 milioni di sterline (circa 8,3 milioni di euro). Come da contratto, la Dow aveva ancora la possibilità di apporre il suo sponsor su cinque pannelli, ma ha fatto sapere di non aver voluto accettare per rispettare “le politiche anti-inquinamento” delle Olimpiadi. La compagnia ha sempre rigettato le accuse, ricordando di aver acquistato gli ex stabilimenti della Union Carbide nel 2001.
Secondo Lenin Raghuvanshi, attivista per i diritti umani e direttore del Pvchr (People’s Vigilance Committee on Human Rights), “questa protesta è stata positiva e simbolica, perché le Olimpiadi attirano l’attenzione di tutta la comunità internazionale”. Tuttavia, gli organizzatori dei Giochi “dovrebbero fare attenzione e non rivolgersi a sponsor che, in qualche modo, possono essere stati coinvolti in un genocidio”.
Inoltre, egli sottolinea che “ogni volta che si prendono di mira affari dai risvolti negativi o non etici, è essenziale che gli attivisti coinvolgano i consumatori, perché questi sono una forza potente per ottenere un cambiamento reale dei meccanismi economici e politici”. Proprio per questo, afferma Raghuvanshi, “in primo luogo bisognerebbe avviare una campagna di sensibilizzazione nella società civile indiana, visto che la Dow India vanta un fatturato di 500 milioni di dollari”.
A proposito della strage di Bhopal, l’attivista ricorda che “per le vittime – che sono soprattutto dalit, tribali e altre minoranze – non esiste alcuna forma sistematica di riabilitazione, né risarcimenti appropriati. Questo causa ancora oggi una frustrazione enorme”.
Provocato da una fuga di 40 tonnellate di isocianato di metile (cianuro) dallo stabilimento di pesticidi della Union Carbide, il disastro di Bhopal è considerato una delle tragedie ambientali più gravi della storia. Almeno 3.500 persone sono morte nelle prime ore dall’incidente e altre 20mila nei mesi successivi. I disabili permanenti supererebbero i 150mila. Ancora oggi, gli ospedali della zona accolgono circa 6mila persone al giorno con problemi respiratori, motori e cerebrali legati alla contaminazione del territorio. Tuttavia, il governo del Madhya Pradesh considera l’area fuori pericolo.
Il marchio della multinazionale sarebbe dovuto apparire sul rivestimento intorno allo stadio olimpico, lungo 900m e alto 20m, dal valore di 7 milioni di sterline (circa 8,3 milioni di euro). Come da contratto, la Dow aveva ancora la possibilità di apporre il suo sponsor su cinque pannelli, ma ha fatto sapere di non aver voluto accettare per rispettare “le politiche anti-inquinamento” delle Olimpiadi. La compagnia ha sempre rigettato le accuse, ricordando di aver acquistato gli ex stabilimenti della Union Carbide nel 2001.
Secondo Lenin Raghuvanshi, attivista per i diritti umani e direttore del Pvchr (People’s Vigilance Committee on Human Rights), “questa protesta è stata positiva e simbolica, perché le Olimpiadi attirano l’attenzione di tutta la comunità internazionale”. Tuttavia, gli organizzatori dei Giochi “dovrebbero fare attenzione e non rivolgersi a sponsor che, in qualche modo, possono essere stati coinvolti in un genocidio”.
Inoltre, egli sottolinea che “ogni volta che si prendono di mira affari dai risvolti negativi o non etici, è essenziale che gli attivisti coinvolgano i consumatori, perché questi sono una forza potente per ottenere un cambiamento reale dei meccanismi economici e politici”. Proprio per questo, afferma Raghuvanshi, “in primo luogo bisognerebbe avviare una campagna di sensibilizzazione nella società civile indiana, visto che la Dow India vanta un fatturato di 500 milioni di dollari”.
A proposito della strage di Bhopal, l’attivista ricorda che “per le vittime – che sono soprattutto dalit, tribali e altre minoranze – non esiste alcuna forma sistematica di riabilitazione, né risarcimenti appropriati. Questo causa ancora oggi una frustrazione enorme”.
Provocato da una fuga di 40 tonnellate di isocianato di metile (cianuro) dallo stabilimento di pesticidi della Union Carbide, il disastro di Bhopal è considerato una delle tragedie ambientali più gravi della storia. Almeno 3.500 persone sono morte nelle prime ore dall’incidente e altre 20mila nei mesi successivi. I disabili permanenti supererebbero i 150mila. Ancora oggi, gli ospedali della zona accolgono circa 6mila persone al giorno con problemi respiratori, motori e cerebrali legati alla contaminazione del territorio. Tuttavia, il governo del Madhya Pradesh considera l’area fuori pericolo.
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