27/04/2011, 00.00
BANGLADESH
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Nuovi attacchi a villaggi tribali, ma i settlers negano tutto. E le autorità stanno a guardare

di Nozrul Islam
Questa volta i bengalesi recitano la parte delle vittime, mentre la reazione forse sproporzionata dei tribali fa temere la rinascita di una nuova guerriglia. Nessuno cerca la verità, con l’unica certezza dei 50 villaggi assaltati e dei quattro bengalesi morti. Mentre le autorità stanno a guardare.
Dhaka (AsiaNews) – Almeno una cinquantina di villaggi tribali jummas attaccati nel distretto di Khagrachari (Chittagong Hill Tracts). Più di 200 case date alle fiamme e ridotte in ceneri. Due templi buddisti rasi al suolo. Quattro settlers bengalesi morti, oltre 20 tribali – donne e bambini compresi – feriti. In più, voci non confermate in via ufficiale – ma affidabili, date le circostanze – parlano di quaranta studenti universitari scomparsi nel nulla. Questo il bilancio in continuo aggiornamento dell’ultimo attacco dei settlers ai danni dei tribali, avvenuto lo scorso 17 aprile e passato nel silenzio delle autorità. La miccia scatenante risale però al 14, quando un gruppo di bengalesi si è spinto oltre le terre jummas – il nome deriva da una tecnica di coltivazione della terra – per appropriarsene. Il tentativo di esproprio però finisce male, perché sembra che un gruppo di tribali abbia attaccato i settlers, provocando la morte di quattro persone. In Bangladesh episodi simili sono relativamente frequenti; ma le dinamiche poco chiare di quanto accaduto dopo rendono i fatti più complessi.

Le due comunità si rilanciano la palla delle accuse: secondo i tribali, i settlers avrebbero attaccato una cinquantina di villaggi, dando fuoco alle abitazioni; viceversa, i bengalesi sostengono il contrario. Diatribe simili rientrano nella politica di colonizzazione di quelle terre – che non è religiosa, ma sociale ed economica – da parte dei bengalesi, di solito appoggiati da esercito e polizia. Tuttavia, si assiste a uno scambio di ruoli: i tribali hanno attaccato per primi, mentre i bengalesi recitano la parte delle vittime e promuovono manifestazioni, facendo molto più chiasso e ottenendo soprattutto molto più ascolto (dalle autorità) dei tribali in casi analoghi.

Con la sola certezza della morte di quattro settlers per mano tribale, resta l’evidenza di una risposta sproporzionata: le reazioni dei jummas, molto poveri, non vanno mai oltre l’uso di bastoni per scacciare chi tenta di confiscare le loro terre. Segue, di solito, l’azione organizzata dei settlers. Fino all’intervento della polizia che se da una parte seda la contesa, dall’altra non fa arretrare i bengalesi: permettendo loro, di fatto, un passo in avanti.

La paura dunque è che tra gli stessi tribali, alcuni gruppi minoritari stiano cercando di soffiare sul fuoco, per alimentare una situazione di possibile guerriglia, interrotta dopo oltre vent’anni nel 1998, grazie a un accordo di pace. Il patto, dichiarato anticostituzionale e poi riabilitato dall’attuale esecutivo, è pressoché inefficace. E i provvedimenti presi dalla commissione garante, che ha il compito di esaminare i casi sulle terre contese, non accontentano nessuno. Tra questi, l’eliminazione delle truppe militari dal territorio: pressoché “simbolica”, dal momento che 400 campi militari attendono ancora di essere sgomberati.

Intanto, i bengalesi hanno organizzato un movimento per la difesa dei diritti dei settlers, il Fight for People Rights in Chittagong Hill Tract (FprCht). Questo gruppo, che per certi versi agisce come truppe paramilitari, con l’appoggio tattico della polizia locale usa mezzi illeciti per mettere a tacere queste minoranze. Al momento, il FprCht ha mosso una protesta ufficiale al primo ministro, segno evidente che i settlers si muovono sapendo come muoversi – nonostante stiano accusando la polizia di non aver accolto le loro denunce e non averli difesi. Ma quello dell’accusa falsa è solo l’ennesimo sistema illecito, largamente diffuso in Bangladesh.
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