Nuove rivolte e arresti in Tibet. Pechino critica i media stranieri
Pechino (AsiaNews) – Rimane alta la tensione in Tibet e nelle regioni confinanti, pur con una massiccia presenza di soldati e polizia cinese. Una folla di tibetani armati di pietre e coltelli ha ucciso ieri un poliziotto a Garze, nella zona tibetana del Sichuan. Secondo un dispaccio odierno della Xinhua, negli scontri sono stati ferite molte forze dell’ordine. Secondo l’agenzia cinese, “la polizia è stata costretta a sparare alcuni colpi di avvertimento e ha disperso la folla fuorilegge”.
La Xinhua non precisa se la folla era composta da tibetani, né se vi sono stati feriti fra di loro. Ma il Centro tibetano per i diritti umani e a democrazia dichiara che “almeno un dimostrante tibetano è stato ucciso e un altro è in condizioni critiche”. L’ucciso è un monaco tibetano di 18 anni.
I media cinesi continuano a mostrare che Lhasa è sotto controllo e che la rivolta è rientrata, attribuendo la responsabilità degli scontri al Dalai Lama.
Il ministro della Pubblica sicurezza Meng Jianzhu ha visitato il Tibet la settimana scorsa, proprio mentre si pubblicizzano arresti e consegne “volontarie” di dimostranti. Almeno 13 persone – secondo i media ufficiali – sono state arrestate ieri per le dimostrazioni del 14 e 15 marzo. Nel Sichuan, a Abe, dove il 16 marzo è avvenuto uno scontro con la polizia, concluso con alcuni uccisi, 381 persone si sono arrese alle autorità cinesi.
Pechino ha affermato finora - cambiando spesso versione - che 18 civili cinesi e un poliziotto sono stati uccisi finora dai rivoltosi, ma non dice nulla sul numero delle vittime fra i tibetani. Il governo tibetano in esilio afferma invece che finora vi sono stati almeno 130 uccisi.
Il governo cinese ha messo forti restrizioni per i giornalisti stranieri, impossibilitati a verificare notizie e fatti sulle rivolte in Tibet. Allo stesso tempo, Pechino critica come “imprecise”, piene di “errori” e “manipolate” le notizie date da agenzie e televisioni internazionali.
Zhan Jiang, professore della China Youth University di Pechino, commentando l’atteggiamento de governo sui media stranieri, ha detto che “se il governo ha fede in ciò che sta facendo in Tibet, dovrebbe mostrare più apertura e trasparenza”, lasciando liberi i media di fare il loro lavoro.