Nunzio a Baghdad: "I cristiani vogliono restare in Iraq"
Una minoranza storicamente perseguitata che vuole contribuire alla rinascita del suo Paese.
Baghdad (AsiaNews) L'attacco di sabato alle chiese cristiane "era più di un messaggio" contro una comunità la situazione della quale, contrariamente a quanto si sente spesso dire, "era critica" anche all'epoca di Saddam e c'erano persecuzioni "anche se c'era maggiore sicurezza, perché il regime manteneva un ordine e un controllo su ogni aspetto della vita del Paese: sociale, civile, politico e religioso". Mons. Fernando Filoni, nunzio apostolico in Iraq, ricorda difficoltà e persecuzioni che i cristiani iracheni hanno subito nel corso della loro storia, ma sottolinea la loro ferma volontà di costruire il proprio futuro in Iraq: "I cristiani non vogliono andare via: sono figli di questa terra e vogliono vivere e convivere pacificamente con i musulmani".
Ecco il testo dell'intervista che mons. Fernando Filoni ha rilasciato ad AsiaNews:
Eccellenza, con che spirito vive la gente dopo l'attacco alle chiese di sabato scorso?
Dopo questo secondo attacco, dopo quelli di inizio agosto, la comunità cristiana è molto scossa. Le minacce non solo continuano, ma si trasformano in gesti concreti; queste nuove violenze rendono pericolosa e preoccupante la vita di tutti i cristiani. Ovviamente tutti gli iracheni sono in difficoltà ma i cristiani, che sono una piccola minoranza, soffrono in maniera particolare.
L'attacco di sabato era solo una minaccia o nasconde pericoli più concreti?
Quello di sabato era più di un messaggio contro la comunità cristiana: qui non si tratta solo di minacce, ma di atti concreti contro varie chiese di diverse denominazioni cristiane.
La gente ha paura?
La paura è un sentimento umano è ovvio che ci sia paura e preoccupazione!
C'è la tentazione di scappare, oppure i cristiani vogliono rimanere in Iraq?
Non è la prima volta che i cristiani iracheni si trovano a fronteggiare durissimi attacchi. Le persecuzioni sono cominciate già nel secolo scorso, non sono un fenomeno recente. Durante la prima guerra mondiale sono stati massacrati centinaia di migliaia di cristiani; questi episodi sono continuati in particolare nella zona del nord, nel Kurdistan. Poi ci sono altre persecuzioni, più o meno velate, fino ad arrivare a quelle dei nostri giorni. Da sempre i cristiani hanno subito gravi vessazioni, ma la loro consapevolezza è che sono figli di questa terra: essi non si sentono estranei venuti da fuori, non sono convertiti attraverso un'azione missionaria sono originari di questa terra, sono veri cittadini e hanno il diritto di vivere qui. Ribadisco inoltre che i cristiani non vogliono andare via dall'Iraq, ma vogliono vivere e convivere pacificamente su questa terra.
Ma è possibile una convivenza pacifica con i musulmani?
Certamente! Sia in occasione dei primi attentati ad agosto, sia in questi giorni ho parlato con varie persone, anche del mondo islamico; tutti esprimono solidarietà e manifestano la propria vicinanza ai cristiani. E' chiaro che questi sono atti di terrorismo puro, non hanno nulla a che fare con lo scontro fra cristiani e musulmani. Sono terroristi che attaccano i cristiani come hanno fatto in alcune circostanze contro i musulmani.
Domenica è stato celebrato un battesimo in una delle chiese distrutte: un segnale di speranza.Una delle chiese più colpite è stata quella dei greco-melchiti, di Baghdad, ed è stato proprio il sacerdote a rimettere in ordine almeno un angolo della chiesa. Egli ha celebrato la messa e ha amministrato il battesimo: in questo momento così difficile è stato messo ancora un seme di speranza.
Ci sono altri fatti che testimoniano questo desiderio di vita contro la logica aberrante della morte?
Anche il grande ayatollah Al Sistani ha manifestato la propria solidarietà ai cristiani in questo momento così difficile. Da parte nostra contiamo di incontrare personalità islamiche per manifestare la nostra vicinanza in occasione del Ramadan e per discutere i problemi legati alla convivenza. Ovviamente il problema non ricade nell'ambito dei musulmani aperti al dialogo e al confronto, ma chi usa il terrorismo per fomentare l'invivibilità in questa terra.
Come si può combattere questa logica di morte e violenza?
Certo non possiamo rispondere con atti di terrorismo, perché non è nella nostra logica! Si tratta di intrecciare relazioni che siano di comprensione reciproca per far capire che questa logica di terrorismo non può prevalere sulla volontà di convivere pacificamente. Poi ci sono le armi spirituali come la preghiera; bisogna infine mantenere i contatti con le istituzioni alle quali si chiede di garantire, per quanto possibile, la convivenza civile in questo paese.
Quale può essere il ruolo dei cristiani in un processo di ricostruzione dell'Iraq?
Quello che è sempre stato nella storia del paese. La storia insegna che i cristiani, attraverso le loro capacità e la loro dinamicità culturale, religiosa ed economica hanno collaborato alla ricostruzione e lo hanno reso un Paese prospero: si tratta di riprendere il cammino appena le condizioni lo permetteranno.
Per quale futuro del Paese?
Prima di tutto bisogna garantire la possibilità di una vita civile e sociale pacifica una convivenza alla quale possano concorrere tutte le forze politiche. Dopo di questo si potrà parlare degli altri problemi: la ricostruzione, morale e civile, le relazioni umane e culturali e tutti gli aspetti della vita civile propri di ogni Paese.