Non c’è terrorismo organizzato dietro i 3 attentati nello Xinjiang
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Le 4 guardie di sicurezza accoltellate ieri (3 morti) a un posto di controllo a Yamanya, contea di Shule a circa 30 chilometri da Kashgar, sono il terzo attentato nello Xinjiang in una settimana.
I 4 o 5 aggressori sono scesi da un veicolo, fermato per normale controllo, e hanno colpito le guardie, tutte giovani uighuri. Il 4 agosto una bomba “artigianale” a Kashgar ha ucciso 16 guardie e ferito altre 16 e il 10 una serie di bombe contro edifici pubblici, negozi (nella foto) e alberghi nella contea di Kuga (400 chilometri da Kashgar) ha ucciso 11 persone di cui 10 attentatori.
Le stesse autorità dicono che non risultano collegamenti tra i 3 attentati, mentre le vittime sono tutti uomini dell’esercito cinese.
Esperti, come John Harrison del Centro internazionale per ricerche su terrorismo e violenze politiche di Singapore, dubitano che esista una connessione con il Movimento islamico per il Turkestan orientale, noto gruppo terrorista dello Xinjiang che le autorità cinesi hanno accreditato come autori del primo attentato. Harrison parla di un malessere diffuso tra la popolazione uighuri e dice che, nel lungo termine, “la Cina dovrebbe intervenire sulle cause politiche della violenza”, che indica nelle differenze culturali, religiose ed etniche tra gli uighuri, popolazione originaria della zona e tuttora maggioritaria, e gli etnici cinesi Han di cui Pechino ha favorito una forte immigrazione.
Ma nell’immediato occorre rivedere la sicurezza, dato che “sono probabili nuovi attentati, fino a che c’è l’attenzione di media sulle Olimpiadi”. I mezzi usati fanno pensare a gruppi poco organizzati che colpiscono vittime casuali.
Li Wei, esperto antiterrorismo del China Institute for Contemporary International Relations, spiega al South China Morning Post che ci sono anche cause economiche, anzitutto per “il maggior sviluppo economico di altre zone rispetto allo Xinjiang, come pure tra il settentrione e il meridione della regione”. Lo Xinjiang è ricco di energia e risorse, in genere sfruttate a vantaggio delle ricche province del meridione. Questo scontento, mischiandosi con i contrasti etnici e religiosi, può essere sfruttato “per far infuriare la popolazione, specie i giovani, e scatenare simili azioni radicali”.
Di certo queste iniziative sono state sconfessate dai gruppi degli esuli uighuri. Dilxat Raxit del Congresso Mondiale Uighuri dice che per gli attentati più di 90 persone sono state arrestate e torturate in prigione, senza alcuna prova. I gruppi di esuli uighuri accusano Pechino di arrestare ogni anno centinaia di persone, torturandole in carcere.
Di certo le stesse autorità di Kashgar hanno finora mostrato di sottovalutare questi attentati. Dopo il primo, Shi Dagang, capo del Partito comunista di Kashgar, ha parlato di un “incidente minore” e ha insistito che la gran parte della popolazione è contro il terrorismo. Mentre ieri Yusufujiang Memet, capo della contea di Kuga, si è preoccupato che “il terrorismo causerà un forte danno al turismo verso Kuga”, antica località della via della seta.