Nld: mantenere solo sanzioni “mirate” contro il regime militare birmano
L’opposizione contraria a una generica rimozione, ma non esclude la “revisione” di alcune limitazioni al commercio che colpiscono la popolazione. Asean e rappresentanti etnici in Parlamento favorevoli alla fine dell’embargo. Fonti di AsiaNews: “le sanzioni hanno colpito soprattutto la popolazione”.
Yangon (AsiaNews) – I leader della Lega nazionale per la democrazia (Nld) sono favorevoli al mantenimento di sanzioni “mirate” contro il regime militare al potere in Myanmar; il partito di opposizione birmano non esclude invece la “revisione” di limitazioni generiche al commercio, che colpiscono soprattutto la popolazione. La nota della Nld segue la proposta emersa nei giorni scorsi al vertice Asean – associazione che riunisce 10 nazioni del Sud-est asiatico – di “rimozione” o “allentamento” delle sanzioni contro il Paese. Fonti di AsiaNews in Myanmar confermano che è tempo di “rivedere” la politica adottata da Stati Uniti e Unione europea contro il governo birmano, che ha “contribuito a impoverire la popolazione”.
Win Tin, una delle figure chiave della Nld, ha sottolineato che il partito “ha sempre sostenuto con forza le sanzioni mirate contro la leadership militare e i suoi alleati, e continueremo a fare così”. L’anziano capo dell’opposizione non esclude che “rivedremo i limiti al commercio, per capire se colpiscono la popolazione”. La diatriba sulle sanzioni promosse da Stati Uniti e Unione europea contro il Myanmar è tornata in agenda in seguito all’appello di cinque partiti etnici birmani (Shan National Democratic Party, All Mon Region Democracy Party, Rakhine Nationalities Development Party, Chin National Party e Phalon-Sawaw Democratic Party, presenti alle recenti elezioni “farsa” volute dalla giunta) che ne hanno invocato la “rimozione”. La richiesta dei deputati espressione delle minoranze – con un portafoglio di 126 parlamentari sugli oltre 1000 seggi – è stata raccolta dai Ministri degli esteri dell’Asean, che hanno auspicato la rimozione o l’alleggerimento dei provvedimenti coercitivi, considerati “i recenti sviluppi in Birmania, fra cui le elezioni generali e il rilascio di Aung San Suu Kyi”.
Tuttavia, la posizione degli Stati Uniti in materia dovrebbe rimanere immutata. Le sanzioni restano un punto fermo della politica Usa, nonostante le caute aperture dell’amministrazione Obama verso il regime militare. Fonti interne alla diplomazia spiegano che Washington potrà valutarne la cancellazione in seguito al rilascio di tutti i prigionieri politici – ancora oggi circa 2200 – la fine degli attacchi contro i gruppi etnici e un dialogo serio con l’opposizione.
Fonti di AsiaNews a Yangon spiegano però che in questi anni “le sanzioni hanno colpito soprattutto la popolazione”, mentre la leadership di governo ha continuato a commerciare con Paesi – come Cina e India – che non hanno mai sostenuto le scelte dei governi occidentali. “Alla gente non arrivano nemmeno le briciole – raccontano in città – ma i capi si arricchiscono alle spalle del popolo, che diventa sempre più povero”.
I cittadini birmani sono chiusi tra due fuochi: da un lato la stretta del regime, che si fa sempre più forte e dall’altro le difficoltà quotidiane causate dall’embargo imposto dall’Occidente. Nelle ultime settimane emergono però rivolte che vedono protagonisti non gli studenti, gli intellettuali, i monaci buddisti come è stato sinora, ma semplici lavoratori. Nello Stato settentrionale Kachin, al confine con la Cina, la popolazione ha lanciato una serie di scioperi, per protestare contro le condizioni di lavoro.
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