Nepal: nelle piantagioni di thé, cristiani uniti per non essere sfruttati
Nei campi dell'est i lavoratori sono per lo più indiani di fede cristiana. I proprietari delle terre li fanno lavorare a poco più di un dollaro, per oltre 10 ore al giorno. Sindacati fanno pressione sui produttori, che si dicono pronti al dialogo.
Damak (AsiaNews) "Uniti come mai prima d'ora" i lavoratori delle piantagioni di thè nel Nepal orientale, per lo più cristiani, hanno dato vita ad una lotta contro i proprietari terrieri, che li sfruttano "come animali per pochi soldi". La protesta pacifica è iniziata ieri, 6 agosto. Vincent Ekka, 45 anni, che lavora nel distretto di Jhapa, al confine con l'India, racconta ad AsiaNews di essere costretto a stare nei campi fino a 12 ore al giorno e di guadagnare meno di 100 rupie (poco più di un dollaro). "Il salario è lo stesso da anni, nonostante i prezzi dei beni di consumo siano aumentati come pure quelli del thè".
A dare il via alle agitazioni, tre sindacati i cui aderenti lavorano nelle 35 maggiori aziende di thè del Paese: l'All Nepal Tea Farm Workers, il Nepal Tea Farm Workers e il Nepal Free Tea Workers.
Ekka, cristiano di origine indiana, spiega che paghe così basse non permettono ai lavoratori neppure di dare un'istruzione ai propri figli. "Per fortuna - racconta un altro lavoratore, Kuwar Tirkey - la Chiesa cattolica e altre denominazioni cristiane gestiscono scuole, in cui possiamo far studiare i nostri bambini". "Lavorare a queste condizioni - continua Ekka - ci devasta economicamente e fisicamente: la fatica di stare tutto il giorno chinati a terra ci rende vulnerabili a molte malattie". Secondo quanto riferisce sempre Ekka, il 70% dei lavoratori nelle piantagioni di thè sono indiani tribali, e la maggior parte cristiani, figli di emigrati.
"Diversi anni fa racconta Tirkey vivevamo bene, ma oggi è un inferno, perché tra i proprietari delle piantagioni cresce l'abitudine di sfruttarci: siamo di origine indiana, senza cittadinanza nepalese pur vivendo qui da decenni e in più cristiani".
I lavoratori delle piantagioni chiedono un aumento dei salari, a partire da un minimo di 5mila rupie (pari a circa 90 dollari), assicurazioni sanitarie, contributi per l'educazione dei figli e almeno un mese di ferie all'anno. Il presidente della Nepal Tea Producers' Association, ha aperto al dialogo definendo "ragionevoli" le richieste dei sindacati, pur ricordando il "periodo di stagnazione economica" in cui versa il Paese.