Nepal: fra le violenze, la festa Tihari unisce indù e buddisti
I riti della festività durano cinque giorni e sono dedicati al rapporto fra l'uomo e la natura. Uno studioso buddista sottolinea però che nonostante la voglia di celebrare insieme, continua la spirale di violenza nel Paese.
Kathmandu (AsiaNews) Sono iniziate ieri le celebrazioni per il Tihar, la festa religiosa che per cinque giorni unisce la comunità indù e quella buddista del Nepal, che celebrano insieme l'affinità dell'uomo con la natura che lo circonda.
Madhsudan Tiwary, prete indù, spiega ad AsiaNews che "la festività è conosciuta anche con il nome di Yamapanchak. Essa celebra il rapporto di coesistenza fra gli esseri umani e tutto ciò che vive in natura. Durante questi giorni, infatti, le famiglie indù e buddiste praticano degli speciali riti che suggellano il rapporto fra gli uomini ed il corvo, il cane, la vacca e la montagna. Il rito si celebra nello stesso modo da millenni".
Tiwary spiega che "il primo giorno è dedicato a Kaag, il corvo. Nella nostra tradizione, esso è il messaggero di Yamraj, il signore della morte, e se si rompe il digiuno della notte senza onorarlo il primo giorno di Tihar si commette un grave peccato".
Il secondo giorno "è dedicato invece a Kukur Pooja, il cane. Bisogna offrire da mangiare ai cani domestici ed a quelli randagi, per assicurarsi la buona fortuna. Il terzo ed il quarto giorno sono invece dedicati a Gai, la mucca, ed a Laxmi, la dea della salute. L'ultimo giorno si riverisce la montagna, da noi considerata un'entità vivente".
Durante tutta la festività "fratelli e sorelle si fanno visita a vicenda e pregano insieme. Inoltre, è tradizione regalare un nastro vermiglio da mettere in fronte come simbolo di amore fraterno e solidarietà".
Deepak Tamang, studioso buddista, sottolinea che "la maggior parte dei buddisti nepalesi si unisce a questa festa. E' una cerimonia culturale dove sparisce ogni tipo di confronto: essa manifesta solo la simbiosi fra la natura e gli uomini".
Tuttavia, "anche se celebriamo l'amore e la coesistenza continuiamo ad ucciderci fra noi, e questa è la vera tragedia. Negli ultimi dieci anni, la spirale di violenza che ha avvolto il Paese si è portata via più di 13mila vite e questo deve terminare il prima possibile".
Lo stesso commento viene dal pastore pentecostale Ravindra Gurung Masih, membro della Chiesa della buona speranza. "Noi cristiani non celebriamo questo rituale spiega ad AsiaNews anche se personalmente apprezzo l'affinità di indù e buddisti con il regno animale".
"Questa cultura di amore, però sottolinea non trova riscontri al di fuori della religione: assistiamo impotenti al massacro di innocenti. Credo che oltre a questi riti, solo la preghiera sincera all'Onnipotente possa salvarci da questo lago di sangue".