21/12/2011, 00.00
THAILANDIA
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Natale tra i tribali Lahu e Akha di Fang

di Giulia Mazza
Vestiti con gli abiti tradizionali, interi villaggi portano in processione una statua di Gesù bambino, fino alla chiesa dove si celebra la messa di Natale. Una religiosità ancora acerba, ma in crescita tra i più giovani. La missione di p. Massimo Bolgan, Pime, da 12 anni in Thailandia.
Fang (AsiaNews) – Nel nord della Thailandia, tra le montagne della provincia di Chiang Mai, le popolazioni tribali festeggiano il Natale per una settimana intera. Tanto ci vuole per i missionari del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) lì presenti – tre in tutto – per raggiungere tutti i villaggi cattolici della zona. “Arriviamo con una statua di Gesù Bambino, grande 30-40cm – racconta p. Massimo Bolgan, in Thailandia da 12 anni –, e troviamo l’intero villaggio ad aspettarci all’ingresso. Per l’occasione, vestono i loro abiti tradizionali e preparano una specie di culla per la statuetta. Poi, in processione e intonando canti tradizionali, ci avviamo tutti insieme verso la chiesa, dove celebriamo la messa. Al termine della funzione, distribuiamo ai bambini del villaggio dei regali preparati da noi. Ogni pacchetto contiene dei vestiti che arrivano dall’Italia, penne e caramelle”.

La partecipazione è grande, perché rappresenta un momento importante per l’intero villaggio. Dopo la messa, si mangia tutti insieme e si fa festa. “Il senso – spiega il missionario – è che tutto il villaggio accoglie Gesù e lo accompagna nella casa del Signore. Accolgono non solo la statua, ma anche il sacramento dell’eucarestia. E alla fine vengono a dare un ultimo saluto all’immagine di Gesù bambino, che può essere un bacio o una carezza”.

La presenza dei cattolici in Thailandia ha una percentuale davvero esigua, appena dello 0,1% su una popolazione totale di 66,7 milioni di abitanti. Le popolazioni tribali del nord rappresentano il nucleo più denso di cattolici. Nell’intera diocesi di Chiang Mai – la seconda dello Stato dopo quella di Bangkok – ci sono 80mila cattolici, di cui 60mila già battezzati. La parrocchia di Fang, dove ha sede la missione del Pime, ha 5.200 cattolici, di cui 2mila battezzati e 3mila che stanno ancora seguendo il loro cammino di catechesi.

Le popolazioni tribali di Fang seguite dal Pime sono di etnia Lahu e Akha. Pur vivendo vicini tra loro, hanno culture, lingue e costumi diversi. Di tradizione sono animisti, che per loro significa sacrificare una gallina quando si sta poco bene; andare da uno stregone e avere paura degli spiriti. L’incontro con Gesù Cristo avviene un po’ grazie al “passaparola”. Sono gli stessi tribali a chiamare i sacerdoti, “persone semplici – racconta il missionario –, la cui religiosità è ancora acerba. Molti di questi anziani che vediamo nella cappellina, quando celebriamo la messa, non parlano thailandese e magari non sanno nemmeno fare il segno della croce. Però vengono comunque in chiesa e partecipano alla funzione e alle preghiere. Noi parliamo loro di Dio che è creatore, ci vuole bene e ci protegge: queste persone, che sono povere e abbandonate a loro stesse, scoprono di non essere più sole”.

Nel nord il Pime ha anche due ostelli, distanti circa 90 km l’uno dall’altro: uno a Fang, dove ci sono un centinaio di bambini dalle scuole elementari alla terza media; uno a Ban Thoet Thai (provincia di Chiang Rai), che accoglie altri 70 bambini della stessa età. “In questi centri – spiega p. Bolgan – i ragazzi vivono con noi. Al mattino vanno a scuola fuori; nel pomeriggio tornano e stiamo insieme: fanno i compiti, mangiano, dormono. Anche se piccoli, facciamo loro qualche lezione di catechismo, perché in famiglia hanno già conosciuto il cristianesimo, i loro genitori in genere sono battezzati, o si stanno preparando a ricevere il sacramento. Quando tornano a casa trovano un esempio positivo, che è molto importante: quello che noi insegniamo loro sono cose che ritrovano in famiglia. Cerchiamo di formare dei cristiani, che in futuro speriamo possano diffondere la loro fede”.

Le nuove generazioni sono più “moderne” e globalizzate: conoscono la televisione, possono avere un motorino e guidare su strade più comode. “Finite le medie – spiega il missionario – noi per primi aiutiamo i nostri ragazzi a proseguire negli studi. Finito di studiare, è difficile che tornino nel villaggio sui monti a piantare il grano e vivere nelle capanne di bambù. I giovani cercano un posto in città, per trovare un lavoro che li faccia guadagnare un po’ di più. Magari si innamorano di un ragazzo o una ragazza thai e vogliono sposarsi”.

Per retaggio culturale, la società thai tende a discriminare le popolazioni del nord. In una società simile, essere tribale è molto difficile. Far parte di una piccola minoranza religiosa, come i cattolici, accresce il senso di discriminazione. Inoltre, molto spesso in città le chiese – quando ci sono – si trovano in posti poco frequentati. Così, quando i giovani arrivano nei grandi centri, cercano di nascondere le loro origini, cambiano nome per non far capire da dove provengono, allontanandosi a poco a poco dalle loro culture tradizionali. Secondo p. Bolgan, “è normale che questo accada, proprio perché sono culture molto semplici. Però, anche se sappiamo che fa parte del loro processo di crescita e che non possono rimanere fermi a com’erano prima, dobbiamo aiutarli a compiere questo passo nel modo migliore”.

Il futuro è incerto. “Ma noi – conclude p. Bolgan – possiamo intervenire in questo processo di assimilazione, senza cancellare la loro identità. Anche per questo, occasioni come il Natale sono importanti: invitiamo i bambini a indossare il loro costume tradizionale e a vestire allo stesso modo la statua di Gesù Bambino quando entra in chiesa. Momenti come questi servono a non dimenticare Dio, e nemmeno le loro origini”.

(Nel numero di dicembre di AsiaNews cartaceo vi è l’edizione integrale dell’articolo su p. Bolgan)
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