Natale, momento di pace e di speranza per le giovani vedove dell’Orissa
Bangalore (AsiaNews) – Lasciarsi alle spalle i traumi, i dolori e le violenze subite; testimoniare il martirio subito dai propri cari senza cedere alla logica dell’odio e lanciare un messaggio di pace e di speranza alla vigilia del Natale. Con questo spirito 24 giovani vedove del distretto di Kandhamal, in Orissa, hanno raccontato il pogrom anticristiano scatenato dai fondamentalisti indù.
Le donne hanno lasciato i campi profughi in Orissa e sono giunte a Bangalore. Il viaggio è stato organizzato dagli attivisti del Global Council of Indian Christians (Gcic) per poter permettere alle donne di celebrare le festività natalizie. In Orissa resta alta la tensione e sulla comunità cristiana pende la minaccia di nuove violenze in caso di celebrazioni legate al Natale.
Tra le tante storie di donne segnate dal dolore e dalla sofferenza AsiaNews ha raccolto quella di Asmitha Digal, originaria del villaggio di Bataguda, 25 anni e due figli piccoli, il cui marito è stato ucciso in modo barbaro dai fondamentalisti: “Il 26 agosto [uno dei primi giorni delle violenze anti-cristiane in Orissa, ndr] mio marito Rajesh stava rientrando a casa in treno. È sceso alla stazione di Muniguda e, a piedi perché non c’erano mezzi disponibili e le strade erano bloccate, si è diretto verso Kandhamal. Era in compagnia di un giovane indù di nome Tunguru Mallick”.
“Verso le 9 del mattino – continua Asmitha – raggiunto il villaggio di Paburia sono stati fermati da una folla di circa 60 estremisti indù delle Rss [il Rashtriya Swayamsevak Sangh, formazione paramilitare di fondamentalisti nazionalisti, ndr] armati di mazze di legno e bastoni. Hanno afferrato lo zaino di mio marito, che conteneva una copia della Bibbia e passi del Vangelo. Mallick è scappato; Rajesh è stato trascinato come un sacco della spazzatura mentre i fondamentalisti gli intimavano di convertirsi all’induismo”. La donna racconta che al rifiuto opposto dal marito gli estremisti “hanno scatenato la loro rabbia gettandolo in una buca e coprendolo di fango fino al collo”. All’ennesimo rifiuto di abbandonare il cristianesimo, la folla “ha iniziato a colpirlo con le pietre fino ad ammazzarlo”.
Asmitha dice di aver provato a denunciare il caso, ma non ha ottenuto risposte né risarcimenti. Il viaggio a Bangalore rappresenta per lei una occasione per “rilanciare un messaggio di speranza. “Devo continuare a vivere – conclude la donna – per i miei figli e per mio marito che ora è con Gesù. Natale è un momento di rinascita verso una nuova vita. Gesù viene nelle vesti di un bambino, è presente e vivo in mezzo a noi. Questo è ciò che più spaventa gli estremisti indù: la preghiera e la fede in un Dio vivente”.
Sajan George, presidente del Gcic, parlando a una folla di oltre 2500 riunite a Bangalore per ascoltare la testimonianza delle donne sottolinea: “Ai cristiani vengono negati persino i diritti di base sanciti dalla Costituzione. Essi vengono trattati come cittadini di serie B”. L’attivista lancia un appello alla società civile perché “questi atti disumani non vengano dimenticati. I cristiani di Kandhamal non hanno più nemmeno una identità, perché i fondamentalisti indù hanno bruciato i loro documenti. Non lasciamo che il sangue di questi martiri scorra invano”.