10/06/2008, 00.00
MYANMAR
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Nargis, orfani del ciclone vittime del lavoro minorile

I bambini sopravvissuti alla tragedia devono affrontare una duplice sfida: ricongiungersi al nucleo familiare e sfuggire ad aguzzini e sfruttatori. Attivista per i diritti umani sottolinea che la situazione è “disperata” e le famiglie “sacrificano i propri figli”.

Yangon (AsiaNews/Agenzie) – La storia di Jo Jo è simile a quella di migliaia di altri bambini sopravvissuti al ciclone Nargis, rimasti orfani perché i genitori sono morti o di loro non si hanno più notizie. Egli ha trovato rifugio presso i fedeli di una chiesa della capitale, ma deve ora affrontare le sfide più impegnative: ritrovare la famiglia d’origine, sebbene in Myanmar non esista una precisa genealogia che faccia riferimento al cognome e grazie alla quale si possa risalire al nucleo d’appartenenza; la seconda, ben più grave, sfuggire ad aguzzini senza scrupoli che sfruttano il lavoro minorile, uno dei traffici più fiorenti del Paese asiatico. E se il generale aumento dei prezzi non sembra fermarsi, l’unico bene il cui valore diminuisce è quello della vita umana, in particolare dei bambini.

Nella zona industriale al centro della capitale i piccoli estraggono gas, aggiustano generatori di energia, vendono frutta, servono tè, cucinano e vengono utilizzati come addetti alle pulizie di monasteri e pagode; nel Paese essi vengono sfruttati per il contrabbando e nelle guerre fra le diverse etnie. Molti di loro hanno frequentato la scuola per quattro anni al massimo, mentre la maggior parte dei genitori dediti al commercio li fa lavorare per un guadagno inferiore al dollaro giornaliero: essi sono i più fortunati, perché molti altri vengono venduti agli sfruttatori direttamente dai parenti. “Il traffico di minori è una prassi comune in queste regioni – afferma Marvin Parvez, attivista per lo sviluppo che ha collaborato in passato con diverse agenzie umanitarie – e va affrontato con estrema urgenza. I bambini del delta dell’Irrawaddy sono i più poveri fra i poveri, ed è con loro che bisogna cominciare: soffrivano per la mancanza di cibo già prima del ciclone, ora la vita sembra essere tornata indietro di cent’anni. La situazione fra le famiglie è disperata, per questo molte di loro decidono di sacrificare i propri figli: essi appaiono più che mai vulnerabili”.

Nonostante tutto, il modo migliore per proteggere gli orfani del Nargis è quello di affidarli alle famiglie o ai villaggi d’origine; il problema è riconoscere il nucleo di appartenenza in un Paese in cui non si usano cognomi per delineare la discendenza. In Birmania, infatti, i genitori assegnano ai figli una combinazione di nomi che spesso non chiariscono chi sia il padre o la madre; molti altri, oltretutto, vengono identificati mediante soprannome.

I bambini, specie i più piccoli che hanno perso tutto, compresi i documenti di identità, non sono in grado di ricordare il nome del villaggio o localizzarlo sulla mappa. Il ciclone, che ha causato oltre 134mila fra morti e dispersi e 2,4 milioni di sfollati, ha distrutto interi villaggi, spazzato via scuole e case, sconvolto la topografia del luogo. Al momento non è ancora definito il numero dei bambini senzatetto: secondo l’organizzazione umanitaria Save the Children il 40% della popolazione del delta ha meno di 18 anni, mentre dati UNICEF sottolienano che più di un milione di bambini frequentavano un numero complessivo di circa 4mila istituti scolastici danneggiati o distrutti dalla furia del ciclone.  Sempre secondo l’organizzazione Onu che si occupa dei minori vi sono almeno 2mila bambini i cui genitori sono morti o risultano scomparsi, ma le cifre potrebbero essere di gran lunga più elevate. Fonti interne al Paese affermano che nella sola città di Labutta, nel delta dell’Irrawaddy, ci sarebbero oltre 5mila orfani.

 

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