05/11/2007, 00.00
MYANMAR
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Myanmar: ancora arresti, ma i monaci tornano in piazza

All’arrivo dell’inviato Onu, Gambari, lo scorso 3 novembre, circa 100 bonzi hanno marciato contro il regime a Mogok. La popolazione dai bordi della strada applaudiva in segno di solidarietà. E mentre le Nazioni Unite “ elemosinano” incontri con la giunta, i generali continuano gli arresti degli “oppositori” e le intimidazioni. Manifesti davanti ai monasteri invitano ad “uccidere tutti Budda”.
Yangon (AsiaNews) – I monaci buddisti in Myanmar continuano a sfidare il regime e scendono in piazza per la seconda volta dopo la repressione di fine settembre. Lo scorso 3 novembre a Mogok, nella divisione di Mandalay, circa 100 bonzi hanno marciato in modo pacifico, secondo quanto riporta oggi il sito Democratic Voice of Burma. I religiosi hanno pregato e sfilato per le strade cittadine, mentre gli abitanti battevano le mani dai marciapiedi in segno di solidarietà e altri “scortavano” il corteo in moto. Dopo due ore dall’inizio della manifestazioni è intervenuta la polizia che ha imposto alla folla di disperdersi.
 
La settimana scorsa a Pakokku, 100 bonzi avevano già manifestato senza incidenti. Alcuni monaci in forma anonima avvertono che la protesta andrà avanti, “senza timore”, perché il governo “non ha risposto alle domande che l’Alleanza dei monaci birmani aveva presentato già a settembre”.
 
Il regime non solo non risponde alle richieste di pace e democrazia del suo popolo, ma continua con la campagna di arresti e intimidazioni verso gli “oppositori”. Il portavoce della Lega nazionale per la democrazia (Nld), Nyan Win, ha annunciato oggi l’arresto durante il fine settimana di tre membri del suo partito. Il sito Mizzima News riporta di manifesti appesi all’entrata di templi e monasteri buddisti a Sittwe – Stato di Arakan - in cui sono riportate frasi del tipo: “Uccidi tutti i monaci” oppure “Uccidi tutti i Budda” Secondo la fonte dell’agenzia, responsabili del gesto sono “alcuni studenti”. Allo stesso tempo le autorità stanno sottoponendo corpi di civili ed agenti di polizia ad addestramenti speciali anti-sommossa a Yangon, Sagaing, Mandalay, Pegu e Moulmein.
 
In questo clima l’inviato speciale Onu in Myanmar, Ibrahim Gambari, continua la sua missione per raggiungere “una riconciliazione nazionale inclusiva, il ripristino della democrazia e il pieno rispetto dei diritti umani". Ma tra i birmani le speranze di un successo di questa seconda visita del rappresentante Onu nel Paese sono “molto flebili”. Ieri Gambari ha incontrato il ministro degli Esteri del Myanmar Nyan Win e il ministro del Lavoro Aung Kyi, anche deputato ai rapporti con la leader democratica Aung San Suu Kyi. Non è chiaro per quanto tempo Gambari resterà in Myanmar, forse fino all’8 novembre, ma sembra improbabile un suo incontro con il capo della giunta Than Shwe. Né ci sono notizie se siano stati fatti passi avanti nel persuadere i generali a parlare con Suu Kyi, agli arresti domiciliari.
 
Arrivato in Myanmar il 3 novembre, Gambari è stato accolto con manifestazioni governative organizzate dalla giunta che hanno chiesto "rispetto" dalle Nazioni Unite, dopo la decisione di non rinnovare il visto al capo della missione Onu nella regione Charles Petrie. Secondo fonti locali di AsiaNews, durante una di queste manifestazioni filo governative a Mandalay, tre uomini hanno gridato “a morte Than Shwe” e sono stati subito arrestati. “Per le strade – raccontano – si respira una calma che non convince, orchestrata per non aggravare l’immagine del Paese agli occhi dell’Onu, ma l’oppressione del nostro popolo continua in silenzio”.
 
 
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