Myanmar, la politica “divide et impera” del regime verso le minoranze
di Tint Swe
Almeno trentamila profughi in fuga, un morto e decine di feriti negli scontri fra esercito e gruppi ribelli. L’esodo “biblico” della minoranza Shan è l’ultimo capitolo di una politica governativa, che crea divisioni nel Paese per farsi garante – con le armi – dell’unità. La strategia ventennale di accordi, concessioni o repressione dei vari gruppi è a un crocevia, in vista delle elezioni generali del 2010.
New Delhi (AsiaNews) – Nei giorni scorsi AsiaNews ha raccontato l’esodo “biblico” di migliaia di civili birmani, almeno 30mila secondo gli ultimi dati, che hanno varcato il confine fra Myanmar e Cina per sfuggire al conflitto in corso fra esercito governativo e gruppi ribelli della minoranza etnica Shan. La giunta militare al potere in Myanmar – nazione composta dalla maggioranza birmana e numerose minoranze etniche – ha lanciato un’offensiva verso i movimenti ribelli; i militari intendono costringerli alla resa in vista delle elezioni politiche del 2010 e a collaborare con il governo nella difesa dei confini nazionali.
Questa mattina sono ripresi gli scontri fra esercito e i ribelli; ieri una bomba scagliata in territorio cinese ha ucciso una persona, dozzine i feriti ricoverati negli ospedali lungo il confine. Nel frattempo Pechino invita il Myanmar a mantenere la stabilità nella regione al confine fra i due Paesi e chiede maggiori interventi per garantire la sicurezza dei cinesi che vivono nella zona.
Sulla vicenda riportiamo l’analisi di Tint Swe, membro del consiglio dei ministri del National Coalition Government of the Union of Burma (NCGUB) costituito da rifugiati del Myanmar dopo le elezioni del 1990 vinte dalla Lega nazionale per la democrazia e mai riconosciute dalla giunta militare. Fuggito in India nel 1990, dal 21 dicembre del 1991 vive a New Delhi. Da allora fa parte del NCGUB dove ricopre l’incarico di responsabile dell’informazione per l’Asia del Sud e Timor Est.
I recenti sviluppi alla frontiera sino-birmana sono il risultato di un accordo ventennale tra il regime birmano e i gruppi etnici armati. La ribellione interna o la guerra civile non hanno avuto fine, sia in regime di democrazia, sia sotto la legge marziale.
Questo regime ha operato una scelta strategica, dando vita a un cosiddetto accordo per il cessate il fuoco con diverse gruppi etnici. E il primo che l’ha sottoscritto, è anche quello che ha subito per primo le conseguenze di questo sciagurato accordo. Si tratta del Myanmar National Democratic Alliance Army (Mndaa).
Il forte esercito composto da 450mila unità non ha né la possibilità né la voglia di spezzare l’insurrezione con i cannoni. Per questo usa tutti i mezzi a disposizione, leciti o illeciti, senza fare distinzioni. Se sei forte, ricevi maggiori concessioni in cambio; altrimenti ricevi solo le briciole.
Il fattore Cina ha ricoperto un ruolo di primo piano nell’annientare, alla fine della Guerra fredda, il forte Partito comunista birmano (Cpb). Quando il governo cinese ha messo fine al sostegno politico e all’assistenza materiale, il partito comunista non ha più saputo mantenere il suo ruolo di guida nei confronti dei diversi gruppi etnici non appartenenti alla maggioranza birmana. Ciò ha servito su un piatto d’argento la possibilità al regime militare, da poco istallato al potere, di esercitare la politica del “divide et impera”.
Al Mndaa hanno fatto seguito una serie di altri movimenti ribelli legati alle diverse etnie. In questo modo il regime ha avuto la possibilità per una decade di mostrare al mondo, e al Paese stesso, di essere il solo a poter garantire la pace. In quest’ottica lo Slorc – l’originario Consiglio di Stato per la Restaurazione della Legge e dell'Ordine – si è trasformato nel Consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo (Spdc).
La giunta ha avuto così modo di attuare la fase successiva per rafforzare il potere. Mentre orchestrava repressioni su repressioni, la giunta ha ultimato la bozza, la scrittura e l’approvazione di una nuova Costituzione, costi quel che costi.
Ecco perchè il 2010 rappresenta il D-day. È giunto il tempo di occuparsi della questione legata al cessate il fuoco e dei gruppi ribelli. Il piano volto a trasformarli in guardie di frontiera non si è compiuto in modo tranquillo come auspicato. I più piccoli si sono piegati, ma quelli numerosi continuano la resistenza.
Per questo il regime ha deciso di adottare la stessa tattica utilizzata in precedenza per i Karen. Il Karen National Union (Knu), il più forte movimento a livello politico, ha subito infiltrazioni da parte del regime, è stato oggetto di azioni di corruzione e infine diviso al suo interno. Il risultato è stata la nascita del Dkba nel 1994. Il bizzarro acronimo sta per Democratic Karen Buddhist Army, costituito da una frangia di fuoriusciti del Esercito di liberazione nazionale Karen (Knla), braccio armato del Knu. Il risultato: i Karen hanno dovuto uccidere i Karen.
Adesso il Mndaa rappresenta l’ultimo spettacolo della campagna pre-elettorale in vista delle politiche del 2010. I kokangs devono uccidere i Kokangs. Il Consiglio di Stato per la pace e lo sviluppo ha avuto bisogno di meno di un migliaio di soldati. Trentamila civili hanno dovuto fuggire in Cina. Ora sta a Pechino decidere se sostenere la resistenza armata dei kokang cinesi o l’esercito birmano.
(Ha collaborato Nirmala Carvalho)
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