Movimenti ecclesiali e gerarchia “coessenziali”, vivano in armonia
La Lettera Iuvenescit Ecclesia (La Chiesa ringiovanisce), resa pubblica oggi dalla Congregazione per la dottrina della fede. Non si può opporre una Chiesa “dell’istituzione” ad una Chiesa “della carità”. Il problema del “riconoscimento” di un “autentico” dono carismatico e i “criteri” per tale riconoscimento.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Movimenti e gerarchia sono “coessenziali” alla vita della Chiesa - che ha nella evangelizzazione il suo compito fondamentale – e ciò comporta la necessità di una loro “armonica connessione”, che eviti contrapposizioni o impossibili parallelismi. L’esame di tale realtà e dei criteri per la fruttuosa convivenza di quelli che sono entrambi doni di Dio è l’oggetto della Lettera Iuvenescit Ecclesia (La Chiesa ringiovanisce), resa pubblica oggi dalla Congregazione per la dottrina della fede. La pubblicazione del documento – a firma del cardinale prefetto Ludwig Müller e dell’arcivescovo segretario Luis Ladaria – è stata ordinata dal Papa.
“Tale coessenzialità – ha detto in proposito il card. Müller presentando il documento - trova la sua radice ultima nella relazione inscindibile tra il Logos divino incarnato e lo Spirito Santo (cf. IE, 11), e testimonia come, nella stessa prospettiva rivelata dai piani di Dio, non sia lecito contrapporre una “Chiesa dello Spirito” ad una “Chiesa dell’Istituzione”, perché doni gerarchici e carismatici sono sempre gli uni implicati negli altri e sempre reciprocamente, benché in modo gerarchico, relazionati. Ciò non toglie che, a motivo della nativa fragilità umana - e delle inevitabili infedeltà ai piani di Dio che ne seguono - di fatto la naturale tensione dialogica fra questi doni, si sia spesso trasformata, e possa sempre trasformarsi, in dialettica”.
Le 17 pagine della Lettera, rivolta ai vescovi della Chiesa cattolica, partono dall’affermazione che “l’invito di papa Francesco ad essere Chiesa ‘in uscita’ porta a rileggere tutta la vita cristiana in chiave missionaria. Il compito di evangelizzare riguarda tutti gli ambiti della Chiesa: la pastorale ordinaria, l’annuncio a coloro che hanno abbandonato la fede cristiana ed in particolare a coloro che non sono mai stati raggiunti dal Vangelo di Gesù o che lo hanno sempre rifiutato. In questo compito imprescindibile di nuova evangelizzazione è più che mai necessario riconoscere e valorizzare i numerosi carismi capaci di risvegliare e alimentare la vita di fede del Popolo di Dio”. “Doni di importanza irrinunciabile per la vita e la missione ecclesiale”, dunque, i carismi, “manifestazione della «multiforme grazia di Dio»”, debbono avere una “partecipazione feconda ed ordinata” alla comunione della Chiesa, che non li autorizzi a “sottrarsi all’obbedienza verso la gerarchia ecclesiale”, né conferisca loro “il diritto ad un ministero autonomo”.
L’esame del Nuovo Testamento, poi, esclude “una contrapposizione tra i diversi carismi”. E il Vaticano II considera gli autentici carismi “come doni di importanza irrinunciabile per la vita e per la missione ecclesiale”.
“L’antitesi tra una Chiesa istituzionale di tipo giudeo-cristiano e una Chiesa carismatica di tipo paolino, affermata da certe interpretazioni ecclesiologiche riduttive, non trova in realtà un fondamento adeguato”. Non si può, dunque, opporre una Chiesa “dell’istituzione” ad una Chiesa “della carità”, perché nella Chiesa “anche le istituzioni essenziali sono carismatiche”, ed “i carismi devono istituzionalizzarsi per avere coerenza e continuità”. In tal modo, ambedue le dimensioni “concorrono insieme a rendere presente il mistero e l’opera salvifica di Cristo nel mondo”. “In sintesi, la relazione tra i doni carismatici e la struttura sacramentale ecclesiale conferma la coessenzialità tra doni gerarchici - di per sé stabili, permanenti ed irrevocabili – e doni carismatici. Benché questi ultimi nelle loro forme storiche non siano mai garantiti per sempre, la dimensione carismatica non può mai mancare alla vita ed alla missione della Chiesa”.
Il documento affronta, a questo punto, il problema del “riconoscimento” di un “autentico” dono carismatico e offre dei “criteri” per tale riconoscimento, compito che è “di pertinenza dell’autorità ecclesiastica”.
Tali criteri sono: essere strumento di santità nella Chiesa; impegnarsi nella diffusione missionaria del Vangelo; confessare pienamente la fede cattolica; testimoniare una comunione fattiva con tutta la Chiesa, accogliendo con leale disponibilità i suoi insegnamenti dottrinali e pastorali; riconoscere e stimare le altre componenti carismatiche nella Chiesa; accettare con umiltà i momenti di prova nel discernimento; avere frutti spirituali come carità, gioia, pace, umanità; guardare alla dimensione sociale dell’evangelizzazione, consapevoli del fatto che “la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati dalla società non può mancare in un’autentica realtà ecclesiale”.
Vi sono, inoltre, altri due criteri fondamentali per il riconoscimento giuridico delle nuove realtà ecclesiali, secondo le forme stabilite dal Codice di diritto canonico: il primo è “il rispetto della peculiarità carismatica delle singole aggregazioni ecclesiali”, così da evitare “forzature giuridiche” che ne “mortifichino la novità”. Il secondo criterio concerne “il rispetto del regimen ecclesiale fondamentale”, favorendo “l’inserimento fattivo dei doni carismatici nella vita della Chiesa”, ma evitando che essi si concepiscano come una realtà parallela, senza un riferimento ordinato ai doni gerarchici.
Il documento evidenzia poi, come il rapporto tra doni gerarchici e carismatici debba tener conto della “imprescindibile e costitutiva relazione tra Chiesa universale e Chiese particolari”. Ciò significa che i carismi sono dati, sì, a tutta la Chiesa, ma che la loro dinamica “non può che realizzarsi nel servizio ad una concreta diocesi, la quale è «una porzione del Popolo di Dio affidata alle cure pastorali del vescovo coadiuvato dal suo presbiterio»”. E “le nuove realtà carismatiche, quando possiedono carattere sovra-diocesano, non devono concepirsi in modo del tutto autonomo rispetto alla Chiesa particolare; piuttosto la devono arricchire e servire in forza delle proprie peculiarità condivise oltre i confini di una singola diocesi”.
I carismi, inoltre, rappresentano anche “un’autentica possibilità” per vivere e sviluppare la vocazione cristiana di ciascuno, sia essa il matrimonio, il celibato sacerdotale, o il ministero ordinato. Anche la vita consacrata “si colloca nella dimensione carismatica della Chiesa”, perché la sua spiritualità può diventare “una significativa risorsa” sia per il fedele laico che per il presbiterio, aiutando entrambi a vivere una specifica vocazione.
La Lettera, infine, invita a guardare a Maria, “Madre della Chiesa”, modello di “piena docilità all’azione dello Spirito Santo” e di “limpida umiltà”: con la sua intercessione, si auspica che “i carismi abbondantemente distribuiti dallo Spirito Santo tra i fedeli siano da questi docilmente accolti e messi a frutto per la vita e la missione della Chiesa e per il bene del mondo”.