Mons. Warduni: I cristiani irakeni non sono cittadini di serie B
Baghdad (AsiaNews) – Dolore e preoccupazione nelle parole di mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad, per la ratifica della legge elettorale sancita dal Consiglio di presidenza iracheno. La normativa, approvata dal Parlamento il 3 novembre e firmata dal presidente Jalal Talabani l' 8 novembre, assegna tre seggi alla minoranza cristiana in vista delle elezioni per il rinnovo dei consigli provinciali, una a testa a yazidi, shabak e sabei. I posti assegnati sono minori di quelli consigliati dall'Onu.
“Il governo ha promesso di reintrodurre l’art. 50 nella legge elettorale [il quale garantiva 15 seggi su 440 alle minoranze, di cui 13 ai cristiani] mentre il Parlamento ha approvato la norma senza inserire alcuna modifica” denuncia il vicario del Patriarca. I leader della comunità cristiana avevano preparato “un comunicato per esprimere il dissenso” quando è giunta “la notizia della ratifica del consiglio di presidenza: una decisione che ci ha sorpreso e che ci addolora”.
Mons. Warduni spiega che l’attuale normativa, secondo quanto promesso dal governo e dal presidente Talabani, varrà “solo per il rinnovo dei consigli provinciali”, al termine del quale si procederà “al censimento della popolazione per poi procedere a una nuova ripartizione delle quote”. Il prelato, tuttavia, dice di “non credere ad un cambiamento” e nemmeno alla “maggiore tutela delle minoranze” finora tanto sbandierata e sempre disattesa. “È inutile negare oggi una rappresentatività – continua mons. Warduni – per poi promettere in futuro pari diritti”.
Il vescovo ausiliare di Baghdad parla di un “gioco politico” e denuncia l’indifferenza delle Nazioni Unite e della comunità internazionale, le quali dovevano “assumere una posizione più forte in tema di diritti delle minoranze e nella difesa della comunità cristiana”.
Mons. Warduni vede un “futuro buio” perché non ci sono “pace, sicurezza e parità di diritti”, ma ribadisce al contempo di voler continuare a “far sentire la voce e le ragioni dei cristiani” di fronte alla Costituzione irachena. “Qui non si tratta di combattere una guerra – conclude il prelato – perché noi siamo a favore della pace. Però non possiamo nemmeno accettare una condizione di emarginazione. Non siamo iracheni di serie B, siamo cittadini come gli altri, con pari diritti e pari doveri nella ricostruzione del nostro amato Paese”.(DS)