Mons. Sako: la pena capitale per Aziz e altri è un solo un gesto di vendetta
Baghdad (AsiaNews) – Cancellare la pena capitale dal nuovo Iraq per permettere al Paese un vero sviluppo. All’indomani dello stop del presidente iracheno alla condanna a morte di Tareq Aziz, l’arcivescovo caldeo di Kirkuk, mons. Louis Sako ribadisce la necessità di fermare questi “gesti di vendetta che non servono alla pace”.
“La condanna a morte rappresenta un’offesa alla persona umana. Chi ha il diritto di togliere la vita a qualcuno?”, ha commentato ad AsiaNews l’arcivescovo. “Non lo dico perché l’ex vice presidente iracheno Tareq Aziz è cristiano cattolico, ma perché la sentenza capitale è un’assurdità di per sé. La comunità internazionale ha il dovere di chiedere a tutti i governi la sua soppressione”.
Ieri si è aperto uno spiraglio di speranza per il 74enne Tareq Aziz, ultimo rappresentante eccellente ancora in vita del deposto regime iracheno, condannato a morte tre settimane fa dall’Alta corte di Baghdad. Il presidente Jalal Talabani, da sempre contrario alla pena capitale, ha ribadito che non firmerà l'ordine di esecuzione. Proprio come aveva assicurato nel caso dell'ex rais Saddam Hussein, poi impiccato nel dicembre 2006.
Mons. Sako spiega che “tutti in Iraq sanno che Aziz e gli altri funzionari del governo non potevano opporsi al parere dell’ex presidente Saddam Hussein. Coloro che osavano dare un parere diverso dal suo venivano uccisi. Essere membro di un governo autoritario è una trappola!”.
Il presule ribadisce poi l’importanza di un reale progresso in senso democratico dell’Iraq: “Abbiamo fatto passi, seppur lenti, verso la democrazia. Elezioni, libertà d’espressione, mezzi di comunicazione, viaggi all’estero, ora bisogna cancellare la pena capitale. Questo aiuterà il cammino verso la democrazia e la riconciliazione, soprattutto perché Aziz e alcun altri non rappresentano un pericolo per la sicurezza nazionale. Possono rimanere semplicemente in carcere”. “Le condanne capitali – conclude mons. Sako - sono atti di vendetta, il segno di debolezza di uno Stato, un’iniziativa non degna del nuovo Iraq. Prego e spero che queste condanne non saranno eseguite”. (LYR)