Mons. Sako: a Kirkuk, atti “vergognosi” contro la “fragile” ripresa del Paese
Kirkuk (AsiaNews) – Condanna unanime da parte del mondo politico e dei leader religiosi per l’attacco di ieri a Kirkuk, che ha causato la morte di 28 persone e decine di feriti. Lunedì mattina un attentatore suicida si è fatto esplodere in mezzo a un gruppo di dimostranti che manifestava contro la nuova legge elettorale approvata dal Parlamento. La folla era radunata nei pressi del palazzo del Governo locale, poco distante dalla cattedrale del Sacro Cuore; il corteo dei dimostranti aveva da poco cominciato il cammino quando il kamikaze si è fatto saltare in aria, provocando la strage.
Per prevenire nuovi attacchi le autorità hanno imposto il coprifuoco, ma già dalle prime ore di questa mattina la situazione sembra essere tornata alla normalità. L'arcivescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako, esprime ad AsiaNews “tristezza e vergogna” e sottolinea quanto gli episodi di violenza compromettano “la fragile ripresa del Paese”, la cui situazione nelle ultime settimane sembrava migliorare. “L’unica strada per risolvere problemi e divisioni – ribadisce – è il dialogo. Con la logica della violenza non si risolve nulla. Per questo ho chiesto a tutti, dalle istituzioni al governo, ai leader religiosi un’assunzione di responsabilità forte per salvare la città dal disastro”. Il prelato denuncia “la forte preoccupazione della gente per l’avvenire della città”, al centro di interessi politici ed economici.
La popolazione di Kirkuk è composta da diverse etnie e l’area circostante la città e tutto il Kurdistan iracheno posseggono ingenti giacimenti petroliferi che attirano l’interesse delle compagnie, assetate di risorse e materie prime. Al centro della discussione politica degli ultimi mesi vi è il discusso referendum, in base al quale i cittadini – un mix di etnie tra curdi, assiro-caldei, turcomanni e arabi – devono decidere se annettere la città al Kurdistan oppure farla rientrare in una regione a statuto speciale sotto l’amministrazione del governo centrale iracheno. Ma troppi e troppo contrastanti sono gli interessi in gioco. Kirkuk si sviluppa sul secondo giacimento petrolifero dell’Iraq e possiede il 70 per cento dei depositi di gas naturale della nazione. Il rischio è che se al referendum prevalesse l’“opzione curda”, il governo di Erbil disporrebbe di una risorsa vitale e sufficiente a garantire una sua eventuale indipendenza dal resto dell'Iraq. Ipotesi avversa a vicini come Siria, Turchia e Iran che già fanno i conti con le spinte indipendentiste della comunità curda nei loro confini. Ma anche a Washington, che teme l’aprirsi di un nuovo fronte di tensioni etniche.