Mons. Sako: Martirio, il dono della Chiesa irakena al mondo. Ancora sangue a Baghdad
Ieri nella capitale, sei bombe vicino a case di cristiani hanno fatto due morti e 12 feriti. Continua l’esodo dei fedeli verso il Kurdistan, in una situazione difficile a causa dell’inverno. Per l’arcivescovo di Kirkuk il martirio dei cristiani irakeni è un dono per risvegliare la fede dei cristiani d’occidente. Allo stesso tempo, la loro amicizia e solidarietà, aiuta i fedeli irakeni a continuare la loro testimonianza.
Kirkuk (AsiaNews) – “Per noi cristiani d’Iraq, il martirio è il carisma della nostra Chiesa, antica di oltre 2 mila anni. In quanto minoranza, siamo di continuo di fronte a difficoltà e sacrifici, ma siamo coscienti che essere testimoni di Cristo può significare giungere fino al martirio. Nella lingua araba hanno la stessa radice: Shahid wa shahiid !”.
Queste parole dell’arcivescovo caldeo di Kirkuk, mons. Louis Sako, ad AsiaNews, sintetizzano quanto i cristiani irakeni hanno vissuto in questo anno. Anche ieri a Baghdad, sei esplosioni con ordigni davanti a case di cristiani hanno fatto due morti e 12 feriti. Le bombe sono scoppiate nel quartiere di al Ghadir, dove vi è una cospicua presenza cristiana, a Yarmuk, Khadra, Dora, Saidiya e Karrada, vicino alla chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, dove il 31 ottobre scorso alcuni terroristi hanno ucciso oltre 50 cristiani.
“Questi atti – fa notare un fedele - hanno creato un clima di panico e di delusione fra di noi Il governo non sta facendo niente. Attaccare i cristiani è diventato un fenomeno normale in Iraq. Siamo un obiettivo comodo. I cristiani continuano a fuggire nel Kurdistan; ogni giorno arrivano nuove famiglie. Ad Erbil sono giunte 700 famiglie; a Soulaymaniyia 116 famiglie. Che futuro aspetta loro in questo inverno? Dove sono le nostre autorità religiose, mentre ci ammazzano per la nostra fede? Noi cristiani non abbiamo festeggiato il Natale, e non festeggeremo nemmeno il Capodanno”.
Mons. Sako, che ha accolto molte famiglie di profughi nella sua diocesi, sottolinea la loro fede. “Qui in Iraq si capisce che la fede non è una questione ideologica, o una speculazione teologica, ma una realtà mistica. La fede è un incontro personale con qualcuno che ci conosce, che ci ama e a cui ci doniamo totalmente. Per lui bisogna andare sempre oltre, fino al sacrificio. Il martirio è l’espressione della fedeltà a questo amore. Il 31 ottobre scorso, il p. Wassim, il giovane prete della cattedrale siro-cattolica si è rivolto ai terroristi e ha gridato: Uccidete me e liberate i fedeli. Sapeva quel che diceva: era il suo impegno d’amore per Cristo e per i suoi”.
“I cristiani del mondo intero – continua mons. Sako – possono rinnovare la loro fede e il loro impegno stando a contatto con i cristiani perseguitati dell’Iraq. Allo stesso tempo, l’amicizia, la solidarietà e il sostegno dei nostri fratelli e sorelle dell’occidente ci dà il coraggio di resistere e restare nella nostra terra e nelle nostre chiese, continuando la nostra presenza e la testimonianza cristiana. Sapere che ci siete vicini, ci spinge a coltivare una vita comune, in pace e in armonia, con i nostri fratelli musulmani”.
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