Mons. Menamparampil: 'L'ideologia del governo Modi alla radice del disastro Covid'
L'arcivescovo emerito di Guwahati sulla tragedia della pandemia nel suo Paese: "Non hanno ascoltato gli allarmi degli esperti: la loro agenda politica ha avuto il sopravvento sulla protezione della gente. Il premier avrà almeno il coraggio di chiedere scusa?".
Guwahati (AsiaNews) – Il coronavirus in India è la tragedia di un Paese “che era troppo impegnato nei suoi miti per ascoltare gli allarmi degli esperti”. E ora il premier Modi “avrà almeno il coraggio di chiedere scusa?”. Se lo chiede l'arcivescovo emerito di Guwahati, mons. Thomas Menamparampil, voce tra le più autorevoli dell'episcopato indiano, che rispondendo ad alcune domande inviate da AsiaNews, espone il suo pensiero sulla pandemia che senza sosta continua a mietere migliaia di morti ogni giorno nel Paese. Salesiano, 84 anni, mons. Menamparampil fino al 2012 è stato l'arcivescovo di Guwahati, la capitale dello Stato nord-orientale dell'Assam. Nel 2009 - dopo le persecuzioni contro i cristiani nello Stato dell'Orissa - Benedetto XVI affidò a lui la stesura delle meditazioni per la Via Crucis al Colosseo.
Mons. Menamparampil, che cosa prova davanti alle immagini sulla lotta per la sopravvivenza in India che il mondo intero sta vedendo?
Le notizie sul dramma del Covid-19 nel mio Paese sono assolutamente vere. Le informazioni che leggiamo qui in India sono molto controllate. Certo, sui social network possono anche esserci racconti esagerati, ma la tragedia reale va comunque oltre ogni descrizione: i numeri della gente che muore sono enormi, i pazienti devono lottare per un letto in ospedale o per l'ossigeno. Molti vengono lasciati fuori nei portici, negli atri, nei cortili: è qualcosa di straziante.
Com'è la situazione a Guwahati, la sua città?
Qui in Assam è un po' migliore, forse perché la nostra regione geograficamente è relativamente isolata rispetto al resto del Paese. Mi muovo nei villaggi per le messe e altre iniziative pastorali. Però dobbiamo stare ugualmente attenti: ieri anche qui sono morti due preti, aumentano i casi tra i religiosi. Stiamo aiutando i pazienti nei nostri ospedali. Ma chi ha perso il lavoro ritorna qui dagli altri Stati e probabilmente sta portando con sé anche il virus.
Colpisce il contrasto tra l'immagine dell'India che il premier Modi ha diffuso a livello internazionale in questi anni e la situazione reale nel Paese. Perché questa distanza?
Il modo in cui le autorità hanno affrontato la pandemia è stato del tutto desolante. Non hanno ascoltato gli allarmi degli esperti. La loro agenda politica ha avuto il sopravvento sulla protezione della gente. La macchina della propaganda era troppo impegnata a traghettare la società in un mondo immaginario di auto-celebrazioni. Diffondevano il mito di un'antica grandezza fondata su un passato leggendario. Ci sono anche opportunisti che si accodano a queste narrazioni stravaganti semplicemente per compiacere i decisori politici. Ma è proprio la vera grandezza dell'India, quella basata sulla sua storia autentica, a uscire danneggiata da questo processo. Ormai tutti i rapporti ufficiali prodotti in India hanno perso la loro credibilità internazionale anche su materie come i risultati economici, le statistiche sulla crescita, gli indici sull'assistenza sanitaria, i progetti realizzati, le previsioni sul futuro.
Anche nella pandemia il governo Modi sta cercando di ridurre al silenzio chi critica, come ha fatto con padre Stan Swamy, il gesuita di 84 anni in carcere da più di sei mesi per aver difeso i diritti dei poveri?
Sì, è proprio così. Chi è critico è accusato di sedizione. Però la vicenda di padre Swamy sta suscitando nell'opinione pubblica un'enorme mole di simpatia e ammirazione per il lavoro compiuto per le povere popolazioni tribali. Sempre più persone ritengono che le terre dei tribali debbano essere protette. La maniera in cui il caso giudiziario di padre Swamy è stato condotto è umiliante, ma ci sono stati alcuni cambiamenti nei giudizi d'appello: speriamo che le cose vadano per il meglio.
In una situazione così oscura che cosa può fare oggi la Chiesa cattolica indiana?
In quanto piccola minoranza, noi cristiani dobbiamo fare molta attenzione. La questione non è tanto un cambio immediato di governo: l'opinione maggioritaria coltivata e rafforzata in questi anni non è destinata a cambiare molto presto, indipendendemente dalla persona o dal partito che andrà al potere. Dobbiamo mettere in discussione le politiche ufficiali, criticando quelle decisioni che possono rivelarsi disastrose per l'intera società, ma allo stesso tempo imparare a dialogare con la comunità maggioritaria e operare in favore della ragionevolezza e di un atteggiamento equo. Non è un'impresa facile: dobbiamo portarla avanti insieme a tutte le persone di buona volontà. Siamo però ottimisti: un po' di opportunisti e di radicali ci sono ovunque nel mondo, ma la società indiana nel suo insieme resta aperta.
L'India cambierà dopo questa pandemia? E in quali cambiamenti lei spera?
Il nostro popolo è fatalista: pone troppa fiducia nel karma. Ho paura che la società possa finire per considerare questa tragedia come un disastro temporaneo, da superare e dimenticare. Non mi aspetto grandi cambiamenti quando tutto sarà finito. Spero, però, che il governo decida almeno di destinare una quota maggiore del Pil alla spesa sanitaria. Sfortunatamente alcuni degli Stati che sono stati colpiti maggiormente dal Covid-19 devono fare i conti anche con la malnutrizione, specialmente quella delle donne, con la mancanza di igiene, l'alta mortalità infantile, l'abbandono sanitario... Sono carenze che devono essere risanate e in questa sfida la Chiesa è pronta ad aiutare. Saremmo però contenti se l'atteggiamento arrogante dell'attuale gruppo dirigente fosse almeno attenuato dal realismo e decidessero di mettere da parte alcune delle loro idee e pregiudizi antiscientifici e oscurantisti. Boris Johnson e persino Jair Bolsonaro si sono scusati davanti alla propria nazione per non aver inizialmente preso sul serio il Covid-19. Modi avrà il coraggio di fare lo stesso?.