Mons. Menamparampil: Il Natale, dono di pace contro violenza e terrorismo
di Nirmala Carvalho
Messaggio del vescovo di Guwahati ai fedeli di una delle regioni indiane più martoriate dalla violenza e dal terrorismo. L’impegno della Chiesa per “risvegliare alla vita” chi sceglie la cultura della morte. L’invito alla autorità a non “imporre a forza la pace”, ma ad avere “il coraggio di una mente aperta” ed “intelligenza lungimirante”.
Guwahati (AsiaNews) - Non si deve “imporre la pace” né fermarsi alla mera “condanna”, ma bisogna “diffondere la speranza” e “infondere il respiro della pace”: questa è la scelta che il Natale pone ad ogni uomo. Mons. Thomas Menamparampil, arcivescovo di Guwahati, sollecita così i cattolici dello Stato indiano dell’Assam nel suo “Messaggio di pace in preparazione del Natale”.
Egli si rivolge anzitutto ai cristiani, poco meno del 4% dei quasi 27milioni di abitanti dello Stato in cui il 65% sono indù ed il 31% musulmani. Ma parla anche a tutta la popolazione della regione segnata da ininterrotti scontri etnici e da attentati terroristici che continuano a mietere vittime.
Mons. Menamparampil ed il suo Joint Peace Team of North-east India sono impegnati da 13 anni nei negoziati di pace tra movimenti radicali, gruppi tribali e comunità etniche o religiose. A partire dal suo lavoro e davanti agli ultimi attentati che hanno insanguinato la regione (vedi AsiaNews, 23/11/2009, “Mons. Menamparampil: Assam, la pace minacciata dal terrorismo e dalla forza del governo”), il vescovo chiede a tutta la popolazione e alle autorità di impegnarsi in una vera missione di pace.
“Quando Gesù ha detto ‘la pace sia con voi’ - afferma mons. Menamparampil – le truppe romane percorrevano il mondo occidentale imponendo la loro idea di pace”. Oggi come allora “la storia di ripete” ed è vivo il rischio di attuare con la forza pace e giustizia. In tal modo “il potere più forte impone le sue condizioni al più debole, le comunità più imponenti prevalgono su quelle più fragili, sulle minoranze etniche e religiose”. L’Assam è un esempio di queste dinamiche di forza che per il prelato non fanno altro che “aumentare le tensioni” e sfociare “in esplosioni di violenza” sino alla forma disperata “che prende il nome di terrorismo”.
Il vescovo di Guwahati non accetta la logica della mera condanna con cui spesso si reagisce agli episodi di violenza. “Se condanno qualcuno significa che gli giro le spalle, lo rifiuto, e non posso parlare più con lui”, mentre ciò che serve è il dialogo, l’impegno a “risvegliare alla vita la sua sensibilità umana”.
La “missione di pacificatore” non è altro che “infondere la pace in chi è riluttante e riaccendere in esso una sensibilità che sta volgendo alla morte”. Per questo il vescovo mette in guardia sia le autorità dello Stato sia i gruppi separatisti e ribelli della regione dallo scegliere la strada della forza. E indica la via della mutua comprensione e nello “immedesimarsi” nei problemi da cui sorgono i fenomeni di violenza e terrorismo.
Nel cercare il dialogo e non il muro contro muro, il vescovo cita anche l’esempio del Mahtama Gandhi e del Dalai Lama. Il suo messaggio si rivolge a tutti: a chi crede che “la polizia ed i tribunali saranno i nostri salvatori”; a chi sceglie “l’ideologia” per ottenere risposta alla proprie rivendicazioni; a chi crede nello “scontro” e alle “persone che con cinismo ci rinfacciano i fallimenti” nell’opera di pacificazione. Ad essi la Chiesa non si propone come “mediatrice”, “soggetto politico” o “propagandistico”, ma come portatrice di un messaggio di pace che supera le barriere. “Noi cerchiamo solo di creare un clima favorevole - dice il vescovo - di costruire mutuo rispetto, rimuovere i pregiudizi”.
“Rispondere alla rabbia non con la rabbia, ma con intelligenza lungimirante”, “affrontare il pregiudizio con il coraggio di una mente aperta”, “sfidare la cattiveria con la fiducia in se stessi ed il desiderio del bene comune”.
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