Mons. Coutts: “Affrontiamo il terrorismo a testa alta, testimoniando il Vangelo”
di Vincenzo Faccioli Pintozzi
In un’intervista ad AsiaNews, il vescovo di Faisalabad e presidente della Caritas locale parla della difficile situazione dei cristiani pakistani e del loro desiderio di non nascondere la fede cristiana, o tanto meno di cedere alle violenze dei nuovi estremisti islamici.
Roma (AsiaNews) – La comunità cristiana del Pakistan “non ha alcuna intenzione di cedere davanti all’aumento delle violenze ed alla crescita del fondamentalismo islamico, ma anzi farà di tutto per mantenere salda la sua presenza nel Paese e garantire quei servizi sociali e spirituali che le hanno fatto guadagnare il rispetto della stragrande maggioranza della popolazione. Si tratta di testimoniare il Vangelo ed affrontare a testa alta il terrorismo”.
Lo afferma con molta decisione il vescovo di Faisalabad, mons. Joseph Coutts, che in un’intervista ad AsiaNews parla della vita della Chiesa in un grande Paese musulmano, dove la comunità cristiana si ferma al 2 % della popolazione ma, allo stesso tempo, porta avanti un lavoro fondamentale nel campo dell’educazione e della sanità.
Davanti alle tante tragedie che ogni giorno affliggono questa piccola comunità, sostiene mons. Coutts, “non ci si deve restringere in un ghetto, ma non si deve neanche perdere di vista il quadro generale. Per capire le violenze contro i cristiani bisogna invece guardare alla difficile situazione sociale e politica del Paese, che risente di un governo stretto all’angolo dall’integralismo islamico e dal silenzio dei musulmani moderati”.
Soprattutto, “non vanno mai dimenticati i tanti raggi di speranza che provengono da molti campi diversi: da una parte la tenacia della nostra gente, che arriva a stento a 3 milioni di persone su 150 milioni di pakistani ma non si piega davanti a questa ondata discriminatoria, e dall’altra la stessa popolazione pakistana, composta per la maggior parte di musulmani moderati che sentono proprio come noi il peso del fondamentalismo”.
Il vescovo, che presiede la Caritas locale e si trova a Roma per l'Assemblea generale dell'organizzazione cattolica, spiega: “Il lavoro della Chiesa, e più in generale della comunità cristiana del Pakistan, si sviluppa in diversi settori sociali: istruzione, sanità, lotta alla droga e sostegno anche economico alle fasce meno abbienti della popolazione. Il nostro servizio è gratuito e disinteressato: non guardiamo alla fede dei nostri malati o dei nostri studenti, e tanto meno ci interessiamo del loro portafogli”.
Nelle diverse scuole, cliniche, dispensari ed ospedali cristiani, sparsi per tutto il Paese, “non abbiamo mai e poi mai neanche pensato di eliminare i nostri simboli sacri: le croci sono appese nelle stanze, e le Bibbie si trovano dappertutto. Questo non è proselitismo, ma più semplicemente amore e rispetto per la testimonianza di Cristo, che deve divenire la nostra”.
L’obiettivo, continua, “è cercare di cambiare la mentalità della gente tramite gesti di amore, giustizia e pace. Dobbiamo portare questi valori a tutti, senza distinzione di sesso o credo, perché sono i cardini dell’insegnamento di Cristo, nostro salvatore. I frutti si vedono: spesso alle nostre funzioni assistono dei musulmani che, rispettosi, pregano con noi nonostante le minacce dei nuovi talebani”.
Questi, sottolinea mons. Coutts, “sono un ‘prodotto’ recente. Il Pakistan è divenuto una sorta di campo di battaglia per potenze straniere che non riusciamo ad individuare. Quello di cui sono certo è che la violenza e la persecuzione contro le minoranze non è insita nella popolazione, ma in qualche modo importata dall’estero”.
Per il vescovo, la stessa linea di pensiero si adatta anche davanti “alle grandi difficoltà che vive la nostra comunità: discriminazione, leggi contro le minoranze e violenze settarie. Questi fenomeni, in crescita negli ultimi anni, sono nati durante la dittatura militare: il governo attuale non li sposa in pieno, anche se li appoggia perché vittima di un ricatto da parte di gruppi di potere radicali, pericolosi e violenti”. Questo “è un segnale di disagio che però non colpisce solo noi, ma tutto il Paese. Chiaramente dobbiamo evitare in tutti i modi una generalizzazione del tipo ‘musulmano uguale terrorista’, ma dobbiamo con ancora più forza far capire che non siamo spaventati da queste minacce e che non cederemo davanti alla violenza”.
La cosiddetta talebanizzazione pakistana, l’aumento degli attacchi violenti da parte di estremisti islamici, “non è mirata solo alle minoranze: colpisce allo stesso tempo anche quella maggioranza dei cittadini che non hanno nulla a che fare con l’estremismo islamico. Naturalmente, anche questi hanno le loro responsabilità e vanno rimproverati, perché non fanno sentire la loro voce contro questo fenomeno ed i gravi danni che produce”.
Solo unendo questa spinta moderata ad un effettivo desiderio di cambiamento “il Pakistan potrà sconfiggere le violenze e la discriminazione che, come una piaga, lo affliggono. Noi siamo speranzosi, e faremo di tutto per facilitare questo processo, non soltanto perché esso ci colpisce in pieno, ma anche e soprattutto perchè fa parte della nostra missione ed è il fulcro dell’insegnamento di Cristo”.
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