Mondiali 2022, calcio e schiavitù si incontrano in Qatar
Doha (AsiaNews/Agenzie) - Mentre la Fifa valuta se assegnare i mondiali del 2022 al Qatar, l'International Trade Union Confederation (Ituc), organizzazione impegnata a tutelare i diritti dei lavoratori in 153 Paesi al mondo, si appresta a lanciare una campagna di boicottaggio ai danni della stessa competizione. "Sarebbe motivo di grande delusione e sconforto per noi la partecipazione a una coppa del mondo organizzata grazie allo sfruttamento di un sistema schiavista", ha dichiarato il direttore del gruppo, Aidan McQuade.
In Qatar, il sistema della kafala - o sponsorizzazione - intrappola ad oggi oltre un milione di lavoratori stranieri, vincolandoli al proprio datore di lavoro e privandoli di ogni diritto fondamentale. Sono nepalesi, filippini e indonesiani, e lavorano o nelle grandi imprese edili o come dipendenti domestici dei ricchi qatarioti. Una volta assunti, sono privati del proprio passaporto e di ogni diritto fondamentale: senza il permesso del proprio 'sponsor' non possono licenziarsi, lasciare il Paese o sporgere denuncia in caso di abusi; pena l'arresto o la deportazione.
Sul tema della tratta dei migranti si è espresso anche Papa Francesco l'8 luglio scorso nella sua visita a Lampedusa. Celebrando messa vicino al 'cimitero delle barche', il Santo Padre ha condannato la 'globalizzazione dell'indifferenza', che ci ha privati della "capacità di piangere" e del "senso di responsabilità fraterna".
I maggiori dubbi manifestati dalla Fifa sul designare o meno il Qatar come nazione ospite, riguardano soprattutto la questione climatica. Nei Paesi del Golfo, infatti, le temperature estive raggiungono non di rado i 50 °C e nonostante gli emiri abbiano avanzato la folle proposta di introdurre l'aria condizionata in campo, i vertici del pallone stanno valutando se spostare la competizione ai mesi invernali.
Al contempo, un mondiale in Qatar implicherebbe una mole di appalti fino a 75 miliardi di dollari, sulla quale le grandi compagnie statunitensi, britanniche, francesi e brasiliane sarebbero pronte a mettere le mani nel caso in cui la Fifa decidesse di accontentare gli emiri. Nei cantieri di hotel, stadi, ferrovie, linee metropolitane e di una nuova città da 200mila abitanti lavorerebbero quei migranti giunti dal sudest asiatico che in Qatar costituiscono il 94% della forza lavoro. È per questo motivo che, come spiega Sharan Burrow, Segretario Generale dell'Ituc, "l'organizzazione è intenta a fare pressione su tali gruppi d'investimento affinché assieme allo sviluppo dei progetti previsti incoraggino anche un miglioramento delle condizioni lavorative dei migranti".
Tamim bin Hamad al-Thani, giovane emiro del Qatar, è secondo molti analisti l'erede di un doppio gioco politico avviato dal padre: mantenere le condizioni per le quali il sistema della kafala possa sopravvivere e incentivare allo stesso tempo la nascita di sterili organizzazioni non governative che facciano da contrappeso. Nel 2002, l'emiro Khalifa al-Tani, che ha abdicato a favore di Tamim il 24 giugno scorso, ha inaugurato la Commissione per i diritti umani; mentre la Qatar foundation on combating human trafficking, "impegnata" nella lotta alla tratta umana, è stata ideata da Sheikha Mozah bint Nasser al Missned, sua seconda moglie.