Monaragala: abitanti contro fabbrica di carbone voluta da Colombo e Pechino
Per i residenti e per i gruppi ambientalisti è illegale e rischia di devastare l’ecosistema dell’area. La struttura sorge nei pressi di una riserva protetta. I vertici affermano di disporre di tutte le autorizzazione necessarie. L’obiettivo dell’azienda in un primo momento è esportare carbone in Giappone, Corea del Sud e in Cina, per poi allargare il mercato ad altri Paesi.
Colombo (AsiaNews) - Diversi acri di terreno boschivo, situati nei pressi di una zona cuscinetto nella riserva forestale di Udawalawe, sono stati abbattuti per permettere la costruzione - illegale - di una fabbrica per la produzione di carbone. Al momento risultano funzionanti una ventina di forni, con altre 19 unità che dovrebbero essere realizzate nel breve periodo per aumentare la capacità, a fronte di un dispendio ambientale enorme: infatti, un singolo forno necessità di quattro tonnellate e mezzo di legname per produrre “solo” una tonnellata di carbone. La fabbrica, sorta senza alcuna autorizzazione, si trova nel villaggio di Arambekema a Thanamalwila, nel distretto di Monaragala, di cui gli abitanti temono una rapida “desertificazione” quando la struttura andrà a pieno regime.
Solo in questi giorni, con l’emergere della notizia della fabbrica e i primi malumori per i rischi ambientali, la Reitech Trading si è rivolta al Dipartimento per la conservazione della fauna selvatica (Dwc) per i permessi di costruzione. In realtà, la struttura è sorta dal gennaio di quest’anno ed è rimasta ferma per due mesi e mezzo a causa di una controversia legale promossa da movimenti ambientalisti e per le manifestazioni degli abitanti della zona.
L’ambientalista Mahesh Gunawaradana racconta ad AsiaNews che “si tratta di un progetto cinese, per produrre carbone da legname di foresta” realizzato con una partnership Colombo-Pechino rispettivamente del 60 e del 40 percento. “L’obiettivo - prosegue - è quello di esportare inizialmente il carbone a nazioni terze come Giappone e Corea del Sud, oltre alla Cina stessa. In un secondo momento i prodotti potranno essere venduti anche ad altri Paesi” anche perché “l’esportazione di carbone è una buona soluzione per accrescere le riserve di valuta estera” in Sri Lanka. “Il legname usato per essere bruciato - conclude - proviene dagli scorsi delle vicine aree forestali”.
Sajith, responsabile della fabbrica, afferma di aver ottenuto tutti i “permessi necessari” dalla Dwc e la compagnia è inoltre autorizzata ad usare il legname di scarto del parco nazionale situato accanto all’impianto, incluso Udawalawe National Park.
Diversa la posizione degli ambientalisti, secondo i quali “è un problema se la fabbrica è nata in una zona cuscinetto del parco nazionale” e poco vale l’affermazione dei vertici secondo cui si tratta di un progetto autorizzato dal Board of Investments (Boi) e dispone di tutta la documentazione. Difatti lo stesso Boi, la State Timber Corporation (Stc), il Dwc e il Dipartimento forestale hanno rispondo chiarendo di “non aver concesso alcun permesso e di non aver raggiunto alcun accordo” per la realizzazione di una fabbrica destinata “alla produzione di carbone”.
Secondo Manjula Amararathna, direttore dell’ente che gestisce le aree protette, è stata avanzata richiesta “al vice-direttore della zona sud di inviare una relazione sul progetto stesso” e valutare se “le loro attività violano le nostre leggi”. Analoga informativa è stata indirizzata anche all’Autorità centrale per l’ambiente e al Dipartimento forestale. “Se la fabbrica - chiosa il responsabile - si trova all‘interno della zona cuscinetto, tutti i dipartimenti governativi competenti dovranno valutare il progetto e prendere una decisione”.
I residenti di Arambekema Wijepala Mudiyanse (65 anni) e Menike Dissanayaka (68 anni) riferiscono che “la produzione di carbone da legna” è elemento di “allarme” perché “comporta la trasmissione al suolo del calore generato dalla combustione dei boschi”. La produzione costituisce anche una “minaccia per gli alberi circostanti, per le piante e per le colture”. Alberi rari e preziosi come il teak, il satinwood e il neem, concludono, “sono stati rimossi dai boschi per la produzione di carbone” che, avviata a pieno regime, si rischia di “far perdere tutti gli alberi della zona”.
19/12/2022 10:40