Monaco tibetano si dà fuoco per il Dalai Lama e la libertà religiosa. È il quinto in un anno
Kalsang aveva 17 o 18 anni e stringeva in mano una fotografia del Dalai Lama. Appello alla comunità internazionale per i diritti dei tibetani. Il 1mo ottobre scorso, anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese, centinaia di tibetani hanno protestato nella provincia del Sichuan.
Dharamsala (AsiaNews) – Un giovane monaco tibetano si è dato fuoco oggi, alle 2 di pomeriggio (ora locale), nel mercato ortofrutticolo della città di Ngaba, nella provincia del Sichuan. Quando si è dato fuoco, Kalsang, 17 o 18 anni, stringeva in mano una fotografia del Dalai Lama e invocava i diritti e la libertà religiosa del Tibet. La polizia ha spento le fiamme, ma le condizioni del giovane monaco di Kirti sono ancora sconosciute.
Nei mesi scorsi, altri giovani monaci di Kirti si sono autoimmolati. Dal marzo scorso il monastero è sottoposto a controlli della polizia cinese e isolamento.
“Solo quest’anno – spiega ad AsiaNews Stephanie Bridgen, direttore di Free Tibet – cinque giovani monaci si siano dati fuoco. È evidente che un numero sempre crescente di tibetani sente che questo sia l’unico modo di essere ascoltati. Si tratta di una tendenza molto preoccupante e senza precedenti, che speriamo finisca presto”. Secondo la Bridgen “la comunità internazionale deve intervenire e fermare questa situazione”, e per farlo “deve mostrare ai tibetani che c’è la determinazione a proteggere e promuovere i loro diritti”.
Il direttore di Free Tibet aggiunge: “La situazione a Ngaba è già tesa, a causa della risposta repressiva delle autorità cinesi alle precedenti auto immolazioni. Ci auguriamo che Pechino riconosca il fallimento di tali metodi, e risponda in modo appropriato e costruttivo. I colloqui devono riprendere, per trovare una soluzione concordata alla crisi tibetana”.
Non c’è modo di sapere quanto le notizie di episodi simili circolino nelle diverse zone del Tibet, o se essi siano parte di una forma di protesta più ampia. Tuttavia, si è venuto a conoscere il caso di Tsewang Norbu, un giovane monaco che si è dato fuoco lo scorso agosto. Grazie al passaparola e alle foto inviate tramite telefoni cellulari, lo scorso 1mo ottobre – anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese – centinaia di persone hanno organizzato una protesta a Serthar (prefettura di Kandze, provincia del Sichuan), gridando “Vogliamo la libertà” e chiedendo il ritorno del Dalai Lama in Tibet. La protesta ha avuto inizio dopo che la polizia aveva tolto una bandiera tibetana e un’immagine del Dalai Lama da un edificio municipale.
In quell’occasione, è stato distribuito un volantino che recitava: “I fratelli tibetani non si addormenteranno sotto l’oppressione dei cinesi… Lunga vita al Dalai Lama. Vittoria per il Tibet, vittoria per il Tibet”. (NC)
Nei mesi scorsi, altri giovani monaci di Kirti si sono autoimmolati. Dal marzo scorso il monastero è sottoposto a controlli della polizia cinese e isolamento.
“Solo quest’anno – spiega ad AsiaNews Stephanie Bridgen, direttore di Free Tibet – cinque giovani monaci si siano dati fuoco. È evidente che un numero sempre crescente di tibetani sente che questo sia l’unico modo di essere ascoltati. Si tratta di una tendenza molto preoccupante e senza precedenti, che speriamo finisca presto”. Secondo la Bridgen “la comunità internazionale deve intervenire e fermare questa situazione”, e per farlo “deve mostrare ai tibetani che c’è la determinazione a proteggere e promuovere i loro diritti”.
Il direttore di Free Tibet aggiunge: “La situazione a Ngaba è già tesa, a causa della risposta repressiva delle autorità cinesi alle precedenti auto immolazioni. Ci auguriamo che Pechino riconosca il fallimento di tali metodi, e risponda in modo appropriato e costruttivo. I colloqui devono riprendere, per trovare una soluzione concordata alla crisi tibetana”.
Non c’è modo di sapere quanto le notizie di episodi simili circolino nelle diverse zone del Tibet, o se essi siano parte di una forma di protesta più ampia. Tuttavia, si è venuto a conoscere il caso di Tsewang Norbu, un giovane monaco che si è dato fuoco lo scorso agosto. Grazie al passaparola e alle foto inviate tramite telefoni cellulari, lo scorso 1mo ottobre – anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese – centinaia di persone hanno organizzato una protesta a Serthar (prefettura di Kandze, provincia del Sichuan), gridando “Vogliamo la libertà” e chiedendo il ritorno del Dalai Lama in Tibet. La protesta ha avuto inizio dopo che la polizia aveva tolto una bandiera tibetana e un’immagine del Dalai Lama da un edificio municipale.
In quell’occasione, è stato distribuito un volantino che recitava: “I fratelli tibetani non si addormenteranno sotto l’oppressione dei cinesi… Lunga vita al Dalai Lama. Vittoria per il Tibet, vittoria per il Tibet”. (NC)
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