Monaci accusano: "Il regime si fa propaganda con il buddismo"
Al vertice mondiale buddista di Yangon, molte delegazioni non hanno partecipato per protesta. Almeno 400 i monaci buddisti rinchiusi nelle prigioni con pene da 15 a 20 anni.
Yangon (AsiaNews/Agenzie) La giunta militare sfrutta il buddismo come mezzo di propaganda. Lo denunciano monaci e analisti durante le fasi finali del congresso mondiale buddista a Yangon.
Nonostante le ripetute minacce di boicottaggio paventate da diversi gruppi, la scorsa settimana il Myanmar ha ospitato il 4° congresso mondiale buddista; il regime militare, isolato dalla comunità internazionale per le numerose violazioni dei diritti umani, ha enfatizzato l'evento, mentre i media del paese lo hanno descritto come una "pietra miliare della storia buddista".
Gli organi di stampa nazionali pubblicano foto in cui si vedono i vertici della giunta militare in compagnia di esponenti di primo piano del mondo buddista, oppure generali del regime intenti a fare delle generose offerte nelle pagode del paese. In Myanmar, su una popolazione di 53 milioni, quasi il 90% segue con devozione i principi della religione buddista, secondo le direttive della scuola Theravada.
Giovedì scorso il generale Than Shwe, capo del Consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo, ha fatto una delle rare apparizioni in pubblico: accogliendo i dignitari al congresso, egli ha dimesso l'abituale divisa militare per indossare la tradizionale tunica bianca e il longyi (fascia che cinge i fianchi).
Il vertice militare ha voluto dare un'immagine di vicinanza e di condivisione dei sentimenti religiosi della popolazione: a dispetto della diffusa povertà, i birmani fanno generose offerte per la restaurazione di templi e la costruzione di nuove pagode. Molti di essi diventano novizi o monaci.
Il regime, in realtà, non lascia alcuna libertà di pratica e di pensiero ai religiosi. Secondo un diplomatico "i monaci devono appoggiare il regime e sono controllati in ogni momento". Riferendosi al premio nobel per la pace Aung San Suu Kyi (leader della Lega nazionale per la democrazia, il partito d'opposizione birmano, tuttora agli arresti domiciliari), il diplomatico denuncia che durante il breve periodo di libertà "non le era consentito l'ingresso nei templi, perché i monaci temevano le persecuzione degli uomini dell'intelligence del regime".
I monaci e le religiose non hanno una parte attiva nella vita politica del paese; essi trascorrono la maggior parte del tempo immersi nella meditazione e nello studio dei testi sacri; analisti affermano che il regime "fa regali e donazioni per tenerli a bada ed evitare che si interessino di politica" e sottolineano che il clero buddista "è in larga parte assoldato al volere del regime".
I pochi religiosi che criticano il regime vengono arrestati e sconsacrati; secondo un'associazione segreta di religiosi, sarebbero quasi 400 i monaci rinchiusi nelle prigioni birmane. Un monaco (che preferisce mantenere l'anonimato) denuncia che molti monaci sono tuttora detenuti nelle carceri del paese. "Essi sono spogliati della loro tunica afferma il monaco devono indossare l'uniforme carceraria e non possono pregare o meditare". Il termine della detenzione "varia dai 15 ai 20 anni" e spesso "viene prolungato se i religiosi rifiutano le offerte di cibo dei funzionari governativi". Egli sottolinea che "ai monaci non è consentito esprimere opinioni o parlare in maniera libera alla gente a causa delle continue pressioni governative" e denuncia un clima di "costante controllo" di ogni loro gesto.
Un altro religioso ribadisce che "i monaci non erano interessati al summit, perché esso è stato organizzato con l'unico scopo di fare propaganda per il regime" e rivela che l'associazione ha inviato lettere a diversi gruppi buddisti nel mondo invitandoli a boicottare il vertice.
Il sayadaw Ashin Nanisara (la più alta carica religiosa birmana) ha dovuto abbandonare il paese nel 1988 dopo aver criticato il regime militare al potere; la giunta gli ha offerto la possibilità di rientrare in Myanmar a patto che "accordasse la propria protezione al summit".
Al congresso, durato 3 giorni, hanno partecipato circa 1500 persone, fra monaci e funzionari governativi; esso è stato boicottato da diversi gruppi buddisti mondiali, fra i quali il giapponese Nenbutsushu. I religiosi nipponici, promotori e organizzatori del primo summit mondiale buddista, hanno cancellato la loro presenza per protestare contro la cacciata dell'ex primo ministro Khin Nyunt a ottobre.