Molotov e slogan contro le chiese. Sacerdote malaysiano: Aumentano le divisioni confessionali
Kuala Lumpur (AsiaNews) - Nella notte due uomini a bordo di una moto hanno lanciato due bombe molotov contro la chiesa dell'Assunzione a Penang, di cui solo una sarebbe esplosa, senza provocare gravi danni né feriti. Tuttavia, il gesto contribuisce ad aumentare le preoccupazioni in merito a una possibile escalation della tensione fra la maggioranza musulmana e la comunità cattolica, già in contrasto per la controversia relativa all'uso della parola "Allah" per definire il Dio cristiano. L'attacco richiama alla mente l'ondata di violenze confessionali che ha investito il Paese nel 2010, con decine di chiese e altri luoghi di culto (anche non cristiani) oggetto di attentati o atti di vandalismo. Il lancio di due bombe artigianali segue di poche ore il gesto provocatorio contro tre diverse chiese di Penang, all'esterno delle quali sono stati esposti da ignoti dei cartelli con la scritta: "Dio è grande, Gesù è figlio di Allah". Sinora nessuno ha rivendicato il gesto, che ha sollevato indignazione fra i leader religiosi della zona. Fonti locali riferiscono che dietro alla provocazione vi sarebbe un tentativo di provocare i cristiani usando la tattica della "psicologia inversa".
La polizia malaysiana ha avviato un'indagine sui fatti di ieri e questa notte; il ministro degli Interni Ahmad Zahid lancia un appello alla calma e si augura che i vertici "cristiani o musulmani" sappiano mantenere il controllo e scongiurare nuove violenze. "Invito ciascuno di voi, singoli individui o gruppi - ha aggiunto - a non compiere questi atti provocatori. Quello che conta è l'armonia fra le religioni".
L'attacco alla chiesa e i cartelloni provocatori si inseriscono nella controversia sull'uso della parola "Allah" per i non musulmani, divampata in seguito allo scontro - giunto alle aule di tribunale - fra p. Andrew Lawrence, direttore del settimanale cattolico Herald Malaysia, e il governo. Nell'ottobre scorso una sentenza della Corte di appello ha negato al settimanale cattolico il diritto di usare la parola "Allah" per definire il Dio cristiano; il sacerdote ha fatto richiesta di appello. In una nazione di oltre 28 milioni di abitanti in larga maggioranza musulmani (60%), i cristiani sono la terza confessione religiosa (dietro ai buddisti) con un numero di fedeli superiore ai 2,6 milioni; la pubblicazione di un dizionario latino-malese vecchio di 400 anni dimostra come, sin dall'inizio, il termine "Allah" era usato per definire Dio nella Bibbia in lingua locale.
Intanto torna a parlare p. Andrew Lawrence, dopo un breve periodo di silenzio in seguito all'interrogatorio del 7 gennaio scorso da parte della polizia e di un possibile rinvio a giudizio. In una lunga intervista a Eglise d'Asie (EdA), il 68enne sacerdote racconta che la controversia è indice di una "radicalizzazione" della società in atto dagli anni 70 e che si è acuita nel recente passato. Le divisioni a sfondo "razziale" o "etnico" sono diventate "un modo di vivere, un modo di essere assai diffusi nel Paese". In questo contesto, aggiunge, "è meglio non parlare di religione" e si è persa persino la consuetudine per i musulmani di augurare "Buon Natale" ai cristiani in occasione della festa.
In vista dell'udienza del 5 marzo, p. Lawrence anticipa che "il verdetto verrà rispettato" ma il punto centrale è che "i cattolici devono poter continuare a celebrare le funzione in lingua malese e a pregare in malese". Così come è necessario che resti di uso comune la Bibbia nell'idioma locale, chiamata "Al-Kitab" (Il libro, ndr). In realtà sono 35 le parole "di uso comune" che i cristiani non possono usare, e questo impedimento "costituisce una palese violazione della libertà religiosa", garantita dalla Costituzione ma disattesa nella pratica comune. Anche in Malaysia, come in altre parti del mondo, si registra una crescita dell'islam estremista e i giovani delle minoranze sono sempre più incentivati ad emigrare, non trovando più spazio (e libertà) in seno alla società. "Tra le nazioni a maggioranza musulmana e a confronto con quanto avviene nei Paesi del Medio oriente - conclude il sacerdote - la Malaysia non fa eccezione sotto questo aspetto".
09/07/2014