14/01/2008, 00.00
CINA
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Migranti cinesi, braccia da lavoro senza paga e senza diritti

La “ordinaria” storia di un migrante pestato e reso invalido dal datore di lavoro per non pagarlo. Lunghi orari di lavoro senza giornate di riposo, privi di assistenza sanitaria e antinfortunistica, se non sono pagati nessuno li aiuta e non hanno nemmeno i soldi per fare causa.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Massacrato di botte e reso invalido dal datore di lavoro per non pagarlo. Storie di ordinaria ingiustizia nel Grande Paese del miracolo economico, dove lo sviluppo prospera sul sudore dei migranti ma nessuno ne tutela i diritti elementari.

Liu Hongjiang ha lasciato il proprio villaggio nel 1990, a 29 anni, per cercare fortuna come operaio edile. A Rizhao (Shandong) lavora per oltre un anno e nell’autunno 1991 chiede i salari arretrati, circa 30mila yuan. Il padrone lo fa pestare a sangue finché sviene. Si risveglia in un fosso lungo una strada al confine con la provincia del Jiangsu, distante molti chilometri, con una ferita al tendine che gli toglie l’uso della gamba sinistra. Senza soldi, storpio, impiega mesi per tornare a Rizhao, ma i palazzi sono finiti e il datore di lavoro è scomparso.

I suoi fratelli lo ritrovano solo il mese scorso, dopo che per anni è sopravvissuto mangiando quanto ha trovato tra i rifiuti. Ora la polizia sta svolgendo indagini e la sua famiglia raccoglie gli elementi per fare causa al datore di lavoro.

Ma la situazione generale dei migranti non è molto migliore. Uno studio dell’università di Fudan condotto su un campione di 30mila migranti, ha accertato che circa l’80% di loro lavora più di 8 ore al giorno, più del 55% ha meno di 2 giorni di riposo al mese. Questo lavoro senza soste aumenta il rischio di infortuni e li priva della possibilità di studiare e migliorare la loro condizione, come pure di avere una vita normale. Sono privi di assistenza sanitaria o antinfortunistica Ma il problema maggiore sono i ritardi o il rifiuto di pagare il salario da parte del datore di lavoro.

Qin Hushao, venuto dall’Hebei a Pechino, racconta al South China Morning Post che anche lui ha lavorato per oltre 50 giorni e poi non è stato pagato, e non ha trovato nessuno che lo aiutasse a ottenere i soldi.

“Senza denaro – spiega – non puoi sopravvivere qui [a Pechino]. E senza denaro non puoi fare causa”. Ora vuole solo avere i suoi soldi e poi tornare a casa.

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