Migranti cattolici filippini, testimoni della fede nei Paesi islamici
Manila (AsiaNews) – “Mi sto recando a Riyadh in Arabia Saudita per lavorare come infermeria. Sono spaventata perché per due anni non potrò ricevere i sacramenti e assistere alla messa”. È quanto racconta ad AsiaNews Radika Canlas, ragazza cattolica filippina di 23 anni costretta a cercare lavoro nel Paese arabo dove vige l’islam radicale del wahabismo. Ella aggiunge che nonostante l’impossibilità di professare la sua religione cercherà di “testimoniare la fede” attraverso il suo lavoro.
“La mia fede cattolica è molto importante, ma non ho avuto scelta a causa delle difficoltà economiche. Ci sono poche possibilità di lavoro nel mio Paese”, afferma Radika che in attesa di partire alla volta di Riyadh si è recata in una chiesa di Manila per confessarsi e prendere la sua ultima messa. Lei dice che durante il lavoro a Riydah “le preghiere personali, la recita del rosario e la lettura quotidiana della parola di Dio saranno la mia unica forza e il mio unico contatto con Gesù”.
In Arabia Saudita vivono e lavorano circa 8,8 milioni di stranieri, i cattolici sono circa 900mila molti dei quali filippini. Nel Paese non vi è libertà religiosa e vige il divieto di portare simboli religiosi, di pregare in pubblico e in privato. I non islamici devono anche attenersi alle regole e tradizioni dell’islam come il Ramadan. La situazione si complica per le donne straniere impiegate soprattutto nella pulizia degli ospedali, costrette a vivere in uno stato di semireclusione chiuse durante il tempo libero in dormitori e lavorando sei giorni a settimana, 12 ore al giorno, fino al termine del contratto di lavoro.
Nonostante questo rischio, Radika dice di essere desiderosa di comprendere altre culture e tradizioni e di instaurare un buon rapporto con gli altri migranti filippini già residenti in Arabia Saudita. “Essendo nata e cresciuta in un Paese cattolico, è per me una sfida pensare di poter vivere in un Paese di cultura islamica”, afferma la giovane, e aggiunge che “ tutto ciò è per me un modo per apprezzare ancora di più il mio credo e comprendere e rispettare le altre religioni. Devo preparare la mia mente e il mio cuore in modo da poter vivere in un ambiente multi religioso”.
Nella Filippine il salario mensile di un’infermeria è di circa 20mila pesos (280 euro) troppo basso per poter vivere. All’estero esso può giungere sino a 2mila euro. Secondo la Conferenza episcopale filippina lasciano il Paese circa duemila persone al giorno che si aggiungono agli oltre 10milioni di lavoratori già all’estero. In questa situazione i vescovi esortano da anni il governo a impegnarsi per offrire maggiori opportunità lavorative all’interno del Paese.
La Chiesa è attiva nell’aiuto ai migranti sin dal 1955. Essa opera attraverso la Commissione per la cura dei migranti e dei viaggiatori (Ecmi) che offre un aiuto alle persone emigrate nel Paese dove in cui lavorano. Considerandoli i “missionari dell’era moderna” la Conferenza episcopale esorta inoltre i migranti ad essere testimoni della loro fede cristiana nel luogo in cui lavorano.
In questo contesto si è tenuta in Israele dal 27 al 30 agosto l’ottava riunione dei lavoratori migranti residenti in Europa e Medio oriente. Tema dell’incontro: “trovare e condividere i punti di forza nella fede e nella compagnia dei migranti filippini nel mezzo della crisi globale”.
Durante l’incontro il responsabile dell’Ecmi, mons. Precioso Cantillas, ha affermato che “i filippini emigrati all’estero sono colpiti dalla crisi globale. Essi stanno lottando per salvare i loro risparmi e tentano di mantenere tra di loro uno spirito nazionale”. Il segretario dell’Ecmi, padre Edwin Corros, ritiene necessario aumentare il sostegno della Chiesa ai migranti nominando più cappellani in Medio oriente ed Europa. Intanto la presenza nelle Filippine di circa 20milioni di disoccupati nel solo 2009, fa crescere il numero dei migranti.
17/04/2018 13:06