Mep: volontari in Asia per rievangelizzare i giovani in Europa
Da 4 anni le Missioni estere di Parigi (Mep) offrono ai giovani la possibilità di passare più mesi a contatto con i missionari. I giovani interessati vanno da 18 a 35 anni. Molti di loro, dopo il periodo in missione, cambiano vita, professione, si impegnano in modo permanente con l’Asia e lo sviluppo. E tanti altri scoprono la loro vocazione missionaria.
Roma (AsiaNews) – I missionari del Mep (Missions étrangères de Paris) hanno scoperto una proposta di volontariato che serve non solo all’evangelizzazione dell’Asia, ma anche alla riscoperta della fede e della vocazione per i giovani in Europa. Per tanti anni, anche in Italia, il volontariato missionario ha creato grandi ondate di impegno e partenze verso l’Africa, l’America latina o l’Asia, ma spesso la dimensione cristiana era assente o messa in secondo piano, per sottolineare l’impegno, il lavoro, l’azione. In questo modo, dopo l’ondata generosa degli anni ’70 e ’80, affianco ai missionari sono cresciute delle organizzazioni non governative sempre più autonome dalle ispirazioni iniziali. E talvolta l’impegno in una ong, invece che una missione, è divenuto un modo di sbarcare il lunario, un impiego dalle motivazioni magari generose, ma generiche.
Nulla di tutto questo nell’esperienza dei Mep, nata grazie al p. Alain Bourdery, 45 anni, da 14 anni sacerdote del Mep, 12 anni passati in Thailandia. Un giorno il suo superiore gli ha chiesto di interessarsi al volontariato francese in Asia. E così, da 4 anni l’istituto missionario parigino ha lanciato la proposta aperta a tutti i giovani di passare un periodo in missione. La lunghezza del periodo dipende dal tempo a disposizione del giovane e va da 3 mesi a qualche anno.
Stupisce il periodo di preparazione: solo una settimana di corsi intensivi sulla missione, la geopolitica, le culture, le religioni, e poi via: dalla Corea alla Cina, dalla Thailandia alle Filippine, dal Laos a Taiwan o Hong Kong. In tutti questi luoghi i giovani vengono accolti dalla comunità locale e da un missionario del Mep che li introduce nell’ambiente e ne valorizza l’esperienza. Vi sono giovani che si impegnano nell’insegnamento, nella cura dei bambini, nell’amministrazione, nella catechesi, ecc…
Un grande aiuto di p. Bourdery sono tre volontarie che lavorano a stretto contatto con lui: Alexandrine Ardant, 34 anni, che si occupa dei rapporti con le missioni; Hermeline Barbarin, 28 anni, da cinque anni a tempo pieno nel volontariato e con personale esperienza di insegnamento in Cina; la signora Ngo Thi Kim Chi, 65 anni, vietnamita, in rapporto con i Mep da oltre 20 anni.
“La struttura di questa organizzazione – spiega Hermeline - è molto snella ed efficace: si accolgono giovani da 18 a 35 anni e ogni anno si preparano e si inviano in missione circa 150 volontari. In questi quattro anni da quando è sorta l’esperienza, sono stati mandati circa 1000 volontari”.
A differenza di quanto capita in Italia o altrove, il “volontariato nei Mep” non è una organizzazione non governativa (ong). E questo è dovuto soprattutto alla chiarezza dell’identità cattolica e della proposta che viene fatta ai giovani.
“In passato – precisa p. Bourdary - vi era la proposta di andare come volontari nei Paesi di missione per l’amicizia fra i popoli, per sostenere lo sviluppo, la giustizia, ecc… Si rischiava di andare in missione per voler risolvere i problemi degli altri. Questa è invece una proposta più chiara per i cattolici francesi.
Noi non vogliamo essere una ong: siamo un istituto missionario e vogliamo restare tali. E i giovani a cui ci rivolgiamo vogliono condividere con noi questa vita missionaria. Non si tratta di essere “utili”: una ong recluta le persone in base alle competenze. Noi invece le reclutiamo in base alle motivazioni. Noi vogliamo servire le persone, vivere con popoli di altre culture, comprenderli attraverso il “vivere con”. E facciamo una proposta chiara cattolica, che non ha paura di mostrare la propria fede o di seguire il papa Benedetto XVI”.
I giovani che rispondono sono persone che accettano perché alla fine del liceo hanno voglia e possibilità di nuove esperienze; vi sono altri, che magari hanno già iniziato la carriera e il lavoro, e che prendono qualche anno per andare all’estero e accumulare esperienze. Ormai le carriere sono discontinue e un soggiorno all’estero è visto come un punto positivo.
“Quello che però è importante – ribatte il sacerdote - è che tutti questi giovani non partono avendo come primo motivo ‘l’aiutare gli altri’, ‘cambiare il mondo’, ‘essere rivoluzionari’, ma l’andare a scoprire altri popoli e anche se stessi. Nel lavoro e nella nuova esperienza essi scoprono di più quello che sono e anche nuovi modi per affrontare la vita e i suoi problemi”.
“La preparazione di questi giovani – continua Hermeline - è concentrata in una settimana di impegno e incontri a tempo pieno. Qualcuno direbbe che rischiamo di essere superficiali. Invece questo metodo veloce aiuta i giovani a decidere presto e a fare l’esperienza di missione quasi subito. Ogni anno vi sono quattro invii. Oltre alla preparazione culturale e religiosa ci sono addestramenti sui visa, gli aerei, i viaggi….”.
“Non facciamo una preparazione lunga – spiega p. Bourdary - perché vogliamo essere vicini alla psicologia dei giovani, che hanno bisogno di fare le cose con sveltezza e subito. Lasciamo a loro decidere anche la durata della loro permanenza: da 3 mesi a un anno o più. Questo è l’unico modo in cui è possibile incontrare giovani e mandarli in missione: se si fanno lunghe preparazioni e si chiede un lungo periodo in missione, va a finire che ti vengono solo persone di una certa età sui 40 o più anni, o magari che sono in pensione e vogliono offrire un po’ del loro tempo, ma non troverai mai dei giovani. Noi invece vogliamo mobilitare i giovani e per questo ci adattiamo a loro e al loro modo di pensare e vivere”.
I risultati sono molto buoni e duraturi. Hermeline racconta: “Dopo che sono ritornati, alcuni di loro, colpiti dal sottosviluppo di cui sono stati testimoni, decidono di lavorare stabilmente in progetti di sviluppo. Altri scoprono con più precisione la loro professione. Clément, un giovane ingegnere che in Corea ha lavorato in un asilo, al suo ritorno ha scoperto che la sua vocazione era fare l’insegnante e ha cambiato strada. Per altri avviene la scoperta del mondo asiatico e ritornando dirigono il loro lavoro in un contatto maggiore con questo continente.
Per altri ancora il periodo di contatto con i missionari e con le Chiese dell’Asia è un momento di discernimento per scoprire la loro vocazione, consacrata o matrimoniale. Al loro ritorno alcuni si sposano, altri decidono di entrare nei seminari diocesani o nei Mep. Attualmente vi sono 25 giovani nei Mep, provenienti da queste esperienze di missione.
Ci sono anche giovani che erano svogliati negli studi e che al ritorno sono più motivati a studiare e ad apprendere una professione. Naturalmente ci sono fallimenti, ma sono molto pochi”.
Per avere successo è importante non presentare un’identità cristiana stiracchiata e anzi da nascondere. “Noi – afferma p. Bourdary - pensiamo che quello che sostiene la nostra proposta è la chiarezza e la nettezza della nostra identità. Noi chiediamo ai giovani di avere fiducia nei Mep, e nello stesso tempo diamo fiducia a loro, facendo un atto di fede nella giovinezza.
I giovani che arrivano da noi non sono necessariamente cattolici, o praticanti. Ma noi domandiamo che essi rispettino la nostra proposta. Per questo, anche quando vanno in missione, chiediamo che essi partecipino almeno per un minimo ai gesti e alla vita delle comunità locali, che comprende anche la preghiera, la messa, la tavola, la festa. Chiediamo questo per rispetto al popolo e alla comunità in cui si inseriscono.
Spesso, quelli che non sono cattolici praticanti, davanti alla fede mostrata dalle comunità in Asia, ritornano con una maggiore decisione per la fede, una coscienza più grande dell’universalità della Chiesa”.
Il missionario sottolinea con stupore di aver scoperto che “questo volontariato per l’evangelizzazione dell’Asia è divenuto uno strumento per la nuova evangelizzazione dei giovani europei e francesi! Un lavoro iniziato per l’aiuto agli altri è divenuto un aiuto verso se stessi!”.
E conclude: “Questo volontariato per l’Asia è un servizio alla Chiesa francese, spesso impacciata nei confronti dei giovani, segnati dal relativismo, dalla stanchezza o dalla rabbia. I vescovi francesi cominciano ad interessarsi a questa esperienza perché vedono la ricaduta di impegno e di vocazioni nelle loro diocesi. Per noi resta un lavoro che di continuo è messo in discussione, per essere alla pari delle esigenze dei giovani e per rispondere alle necessità delle Chiese dell’Asia”.
Il successo della proposta si vede anche da un altro fatto: i giovani che chiedono di parteciparvi sono spinti dal passa-parola di coloro che hanno già vissuto questa esperienza. “Noi abbiamo un sito internet (http://volontariat.mepasie.org ), faciamo conferenze, inviamo depliant, ma la maggior parte dei giovani che arrivano sono stati indirizzati da quelli che hanno già lavorato con noi: il loro entusiasmo si comunica ad altri”.
Per il futuro, p. Bourdery pensa di iniziare una collaborazione con altri istituti missionari, come il Pime (Pontificio istituto missioni estere) e di pianificare una presenza del loro organismo alle Giornate mondiali della gioventù. (BC)
Nulla di tutto questo nell’esperienza dei Mep, nata grazie al p. Alain Bourdery, 45 anni, da 14 anni sacerdote del Mep, 12 anni passati in Thailandia. Un giorno il suo superiore gli ha chiesto di interessarsi al volontariato francese in Asia. E così, da 4 anni l’istituto missionario parigino ha lanciato la proposta aperta a tutti i giovani di passare un periodo in missione. La lunghezza del periodo dipende dal tempo a disposizione del giovane e va da 3 mesi a qualche anno.
Stupisce il periodo di preparazione: solo una settimana di corsi intensivi sulla missione, la geopolitica, le culture, le religioni, e poi via: dalla Corea alla Cina, dalla Thailandia alle Filippine, dal Laos a Taiwan o Hong Kong. In tutti questi luoghi i giovani vengono accolti dalla comunità locale e da un missionario del Mep che li introduce nell’ambiente e ne valorizza l’esperienza. Vi sono giovani che si impegnano nell’insegnamento, nella cura dei bambini, nell’amministrazione, nella catechesi, ecc…
Un grande aiuto di p. Bourdery sono tre volontarie che lavorano a stretto contatto con lui: Alexandrine Ardant, 34 anni, che si occupa dei rapporti con le missioni; Hermeline Barbarin, 28 anni, da cinque anni a tempo pieno nel volontariato e con personale esperienza di insegnamento in Cina; la signora Ngo Thi Kim Chi, 65 anni, vietnamita, in rapporto con i Mep da oltre 20 anni.
“La struttura di questa organizzazione – spiega Hermeline - è molto snella ed efficace: si accolgono giovani da 18 a 35 anni e ogni anno si preparano e si inviano in missione circa 150 volontari. In questi quattro anni da quando è sorta l’esperienza, sono stati mandati circa 1000 volontari”.
A differenza di quanto capita in Italia o altrove, il “volontariato nei Mep” non è una organizzazione non governativa (ong). E questo è dovuto soprattutto alla chiarezza dell’identità cattolica e della proposta che viene fatta ai giovani.
“In passato – precisa p. Bourdary - vi era la proposta di andare come volontari nei Paesi di missione per l’amicizia fra i popoli, per sostenere lo sviluppo, la giustizia, ecc… Si rischiava di andare in missione per voler risolvere i problemi degli altri. Questa è invece una proposta più chiara per i cattolici francesi.
Noi non vogliamo essere una ong: siamo un istituto missionario e vogliamo restare tali. E i giovani a cui ci rivolgiamo vogliono condividere con noi questa vita missionaria. Non si tratta di essere “utili”: una ong recluta le persone in base alle competenze. Noi invece le reclutiamo in base alle motivazioni. Noi vogliamo servire le persone, vivere con popoli di altre culture, comprenderli attraverso il “vivere con”. E facciamo una proposta chiara cattolica, che non ha paura di mostrare la propria fede o di seguire il papa Benedetto XVI”.
I giovani che rispondono sono persone che accettano perché alla fine del liceo hanno voglia e possibilità di nuove esperienze; vi sono altri, che magari hanno già iniziato la carriera e il lavoro, e che prendono qualche anno per andare all’estero e accumulare esperienze. Ormai le carriere sono discontinue e un soggiorno all’estero è visto come un punto positivo.
“Quello che però è importante – ribatte il sacerdote - è che tutti questi giovani non partono avendo come primo motivo ‘l’aiutare gli altri’, ‘cambiare il mondo’, ‘essere rivoluzionari’, ma l’andare a scoprire altri popoli e anche se stessi. Nel lavoro e nella nuova esperienza essi scoprono di più quello che sono e anche nuovi modi per affrontare la vita e i suoi problemi”.
“La preparazione di questi giovani – continua Hermeline - è concentrata in una settimana di impegno e incontri a tempo pieno. Qualcuno direbbe che rischiamo di essere superficiali. Invece questo metodo veloce aiuta i giovani a decidere presto e a fare l’esperienza di missione quasi subito. Ogni anno vi sono quattro invii. Oltre alla preparazione culturale e religiosa ci sono addestramenti sui visa, gli aerei, i viaggi….”.
“Non facciamo una preparazione lunga – spiega p. Bourdary - perché vogliamo essere vicini alla psicologia dei giovani, che hanno bisogno di fare le cose con sveltezza e subito. Lasciamo a loro decidere anche la durata della loro permanenza: da 3 mesi a un anno o più. Questo è l’unico modo in cui è possibile incontrare giovani e mandarli in missione: se si fanno lunghe preparazioni e si chiede un lungo periodo in missione, va a finire che ti vengono solo persone di una certa età sui 40 o più anni, o magari che sono in pensione e vogliono offrire un po’ del loro tempo, ma non troverai mai dei giovani. Noi invece vogliamo mobilitare i giovani e per questo ci adattiamo a loro e al loro modo di pensare e vivere”.
I risultati sono molto buoni e duraturi. Hermeline racconta: “Dopo che sono ritornati, alcuni di loro, colpiti dal sottosviluppo di cui sono stati testimoni, decidono di lavorare stabilmente in progetti di sviluppo. Altri scoprono con più precisione la loro professione. Clément, un giovane ingegnere che in Corea ha lavorato in un asilo, al suo ritorno ha scoperto che la sua vocazione era fare l’insegnante e ha cambiato strada. Per altri avviene la scoperta del mondo asiatico e ritornando dirigono il loro lavoro in un contatto maggiore con questo continente.
Per altri ancora il periodo di contatto con i missionari e con le Chiese dell’Asia è un momento di discernimento per scoprire la loro vocazione, consacrata o matrimoniale. Al loro ritorno alcuni si sposano, altri decidono di entrare nei seminari diocesani o nei Mep. Attualmente vi sono 25 giovani nei Mep, provenienti da queste esperienze di missione.
Ci sono anche giovani che erano svogliati negli studi e che al ritorno sono più motivati a studiare e ad apprendere una professione. Naturalmente ci sono fallimenti, ma sono molto pochi”.
Per avere successo è importante non presentare un’identità cristiana stiracchiata e anzi da nascondere. “Noi – afferma p. Bourdary - pensiamo che quello che sostiene la nostra proposta è la chiarezza e la nettezza della nostra identità. Noi chiediamo ai giovani di avere fiducia nei Mep, e nello stesso tempo diamo fiducia a loro, facendo un atto di fede nella giovinezza.
I giovani che arrivano da noi non sono necessariamente cattolici, o praticanti. Ma noi domandiamo che essi rispettino la nostra proposta. Per questo, anche quando vanno in missione, chiediamo che essi partecipino almeno per un minimo ai gesti e alla vita delle comunità locali, che comprende anche la preghiera, la messa, la tavola, la festa. Chiediamo questo per rispetto al popolo e alla comunità in cui si inseriscono.
Spesso, quelli che non sono cattolici praticanti, davanti alla fede mostrata dalle comunità in Asia, ritornano con una maggiore decisione per la fede, una coscienza più grande dell’universalità della Chiesa”.
Il missionario sottolinea con stupore di aver scoperto che “questo volontariato per l’evangelizzazione dell’Asia è divenuto uno strumento per la nuova evangelizzazione dei giovani europei e francesi! Un lavoro iniziato per l’aiuto agli altri è divenuto un aiuto verso se stessi!”.
E conclude: “Questo volontariato per l’Asia è un servizio alla Chiesa francese, spesso impacciata nei confronti dei giovani, segnati dal relativismo, dalla stanchezza o dalla rabbia. I vescovi francesi cominciano ad interessarsi a questa esperienza perché vedono la ricaduta di impegno e di vocazioni nelle loro diocesi. Per noi resta un lavoro che di continuo è messo in discussione, per essere alla pari delle esigenze dei giovani e per rispondere alle necessità delle Chiese dell’Asia”.
Il successo della proposta si vede anche da un altro fatto: i giovani che chiedono di parteciparvi sono spinti dal passa-parola di coloro che hanno già vissuto questa esperienza. “Noi abbiamo un sito internet (http://volontariat.mepasie.org ), faciamo conferenze, inviamo depliant, ma la maggior parte dei giovani che arrivano sono stati indirizzati da quelli che hanno già lavorato con noi: il loro entusiasmo si comunica ad altri”.
Per il futuro, p. Bourdery pensa di iniziare una collaborazione con altri istituti missionari, come il Pime (Pontificio istituto missioni estere) e di pianificare una presenza del loro organismo alle Giornate mondiali della gioventù. (BC)
Vedi anche