Matrimoni misti, chiave per l'integrazione dei migranti in Corea
Gwangju (AsiaNews) - Il governo e la Chiesa cattolica coreana stanno lavorando bene per aiutare le "seconde generazioni" di migranti in Corea a trovare un posto nella società. Ma lo straniero è ancora oggi visto come un "diverso", un cittadino "di serie B". Le unioni miste aumentano e i figli di questi matrimoni sono sempre di più. Servono una politica e una pastorale adatte per loro. La seconda parte dell'analisi di p. Maurizio Giorgianni, Oblato di Maria Immacolata che da anni lavora con i migranti in Corea del Sud (per la prima parte clicca qui).
Una delle strade per l'immigrazione in Corea del Sud è quella dei cosiddetti "matrimoni internazionali". Prima di tutto va sottolineato che in certe situazioni più che un matrimonio si tratta di un "comprare" la moglie, nel senso che le agenzie e i broker guadagnano grosse somme per combinare tali unioni. In genere la donna straniera è molto giovane mentre l'uomo è più vecchio di 15 o persino 20 anni. Il più delle volte, inoltre, per l'uomo è già il secondo o terzo matrimonio. Ci sono alcune esperienze di coppie che vivono abbastanza serenamente, ma il più delle volte vi sono conflitti a causa della differenza di cultura, lingua, aspettative riguardo al matrimonio.
Molte volte poi i motivi dell'unione sono diversi nella coppia: da parte della donna ci può essere una ragione economica (uscire da una situazione di povertà e aiutare la propria famiglia di origine); da parte dell'uomo c'è invece la necessità di avere qualcuno per le faccende domestiche, per combattere la solitudine o a volte anche per aiutare nel lavoro. A volte la donna viene mantenuta quasi come "prigioniera" (non gli viene fornita la possibilità di studiare la lingua, di avere soldi a disposizione per spese personali), soprattutto quando questi matrimoni vengono celebrati nelle classi socialmente e culturalmente più povere.
Il governo coreano sta tentando di risolvere queste situazioni dando aiuti finanziari alle coppie multiculturali, aiutando l'educazione dei bambini, cercando di aiutare l'integrazione di questa categoria di "migranti". Infatti essi sono l'unica presenza migrante "stabile" nella società coreana (gli altri migranti col visto di lavoro devono infatti prima o poi ritornare nel loro Paese di origine). Ma molto spesso non riescono.
Il punto dell'inclusione dei migranti con la società che li ospita è molto importante, ma anche molto complicato. Se per "inclusione" intendiamo "integrazione", bisogna dire con onestà che qui se ne vede molto poca.
Tenendo conto che le leggi sulla migrazione in Corea non permettono ad un migrante di restare legalmente nel Paese per più di sette anni, allora si capisce come la società coreana non sia molto preoccupata di portare avanti una vera politica di "integrazione" dei migranti. L'immigrato è visto e considerato come "un ospite che lavora nel territorio", ma che comunque deve prima o poi ritornare nel suo Paese di origine.
Per quanto riguarda invece l'accettazione della presenza straniera nella società coreana, va registrato che negli ultimi tempi in Corea si è verificata una certa apertura e una maggiore accettazione. Per motivi storici la presenza straniera in Corea è sempre stata vista come una "presenza di invasione", per cui lo straniero qui non è mai stato visto sotto una luce del tutto positiva. Piano piano le cose stanno però cambiando.
Sicuramente la Chiesa cattolica e i vari Centri di accoglienza che la Chiesa gestisce (per la pastorale dei migranti i cattolici di qui sono molto ben organizzati) stanno contribuendo molto affinché lo straniero sia accettato positivamente nella società, e nell'ambito cattolico venga considerato come il "prossimo" da amare e rispettare. E quando il migrante condivide la stessa fede cristiana si lavora affinché lo si consideri come nostro fratello nella fede, venga accettato nelle assemblee cristiane e gli sia dato un posto nella pastorale delle parrocchie. Molte chiese hanno messe domenicali in lingua inglese o altre lingue per i migranti, con sacerdoti responsabili della loro cura e locali messi a disposizione per riunioni o momenti di aggregazione (catechesi, scuole di lingua coreana o attività similari).
Un lavoro di integrazione più specifico lo sta iniziando il governo per le famiglie multiculturali. Le ultime statistiche dicono che l'8,3% dei matrimoni avvenuti nel 2013 sono di tipo "interculturale" (fra un coreano e una straniera). In particolare ci si sta concentrando sui figli delle famiglie multiculturali (papà coreano e mamma straniera). Le statistiche del 2014 recenti parlano di 67.800 figli di famiglie multiculturali nelle scuole coreane. Sono poco più dell'1% degli studenti totali, ma rappresentano comunque un incremento del 21,6% in un anno. Si prevede che nei prossimi tre anni il numero degli studenti provenienti da famiglie multiculturali potrebbe raggiungere le 100mila unità (dati del ministero dell'Educazione).
Sono numeri che rappresentano una sfida per il sistema educativo in Corea, per cui occorre che il governo li tenga presenti. Uno studio ha rivelato che negli attuali testi scolastici, la famiglia multiculturale è sempre messa in contrapposizione con la famiglia "normale" coreana. Per cui il ministero dell'Educazione ha deciso di rivedere i testi scolastici e adattarli alla nuova situazione con una visione più positiva dello "straniero nella società". Si vuole migliorare il sistema educativo per gli studenti "figli dei migranti", dando un supporto per l'apprendimento della lingua coreana, ma si vuole e si favorisce anche l'idea che la cultura e la lingua del coniuge straniero sia preservata, conosciuta ed imparata dai figli. Un rapporto della Commissione nazionale (coreana) per i Diritti umani ha mostrato che il 41,3% dei figli delle famiglie multiculturali non ha amici coreani. Questo mostra la poca tolleranza che i coreani hanno verso la famiglia migrante multiculturale.
A livello di Chiesa penso che si debba percorrere la strada di inserire la pastorale per la migrazione nei programmi della pastorale della parrocchia (pur mantenendo un cura "speciale" per i migranti) in modo da non "emarginare" anche a livello di Chiesa i migranti, e far crescere una coscienza di solidarietà e accettazione dei migranti. Certamente c'è molto da fare sulle leggi riguardanti la migrazione in Corea. Molte volte mi sembra che i migranti vengano considerati come persone "di serie B", i cui diritti fondamentali sono spesso ignorati. Questo perché le leggi tendono a mettere in primo luogo gli interessi economici e politici della nazione più che i diritti fondamentali della persona. Sicuramente i passi che la società coreana sta facendo nel tutelare e prendersi cura delle famiglie multiculturali sono un segno positivo, che potrebbero portare a maggiori aperture verso la migrazione. Ma serve uno sforzo in più. (fine seconda parte)