Manipur, si dimette il capo del governo locale (scaricato dal Bjp)
Nello Stato dell'India orientale scosso dalle violenze che in meno di due anni hanno provocato più di 250 morti, Biren Singh ha rassegnato l'incarico per evitare una mozione di sfiducia. Nei giorni scorsi la Corte Suprema aveva chiesto verifiche sull'autenticità di un audio in cui lo si sente "rivendicare" di aver istigato gli scontri tra Meitei e Kuki. L'associazione dei gruppi tribali: "Gesto tardivo, continueremo a chiedere un'amministrzione separata".
Imphal (AsiaNews) - Nel Manipur - lo Stato orientale indiano da quasi due anni scosso dalle violenze - il capo del governo locale Biren Singh, ha rassegnato ieri le dimissioni. Il passo è arrivato dopo un incontro con il ministro dell'Interno della Federazione indiana, Amit Shah, che ha fatto seguito a giorni di tensioni all'interno dei vertici locali del Bharatiya Janata Party, il partito nazionalista indù del premier Narendra Modi al quale anche Singh appartiene.
Su di lui pendeva ormai la minaccia di una mozione di sfiducia da parte dell’Assemblea legislativa del Manipur, a ormai 21 mesi dall’inizio delle violenze etniche che hanno causato oltre 250 morti e diverse migliaia di sfollati. Un voto contrario dei deputati locali era diventata una possiblità molto più concreta dopo che nei giorni scorsi Corte Suprema indiana aveva ordinato a un laboratorio centrale di analisi forense di redigere un rapporto su alcune registrazioni audio trapelate, in cui una voce che sarebbe quella di Singh sostiene che gli scontri tra Meitei e Kuki nello Stato sarebbero stati da lui istigati.
Nella lettera in cui ha annunciato il passo indietro, il capo del governo del Manipur si è detto estremamente grato al governo centrale per le azioni tempestive, gli interventi, il lavoro di sviluppo e l'attuazione di vari progetti per salvaguardare gli interessi di tutti in quest’area dell’India. Ha chiesto a Delhi di continuare ad adoperarsi per “mantenere l'integrità territoriale del Manipur”, “reprimere l'infiltrazione alle frontiere e formulare una politica di espulsione degli immigrati clandestini”, “portare avanti la lotta contro la droga e il narcoterrorismo” anche attraverso “recinzioni di confine più rapide e tempestive”.
I partiti dell'opposizione hanno definito le dimissioni di Singh “tardive”, frutto di uno stratagemma del BJP per evitare che il suo governo crolli e per paura di contestazioni da parte della Corte Suprema. In un post sul social network X Rahul Gandhi ha accusato il capo del governo locale dimissionario di aver “istigato per due anni la divisione nel Manipur”. “E il primo ministro Modi - ha aggiunto - gli ha permesso di continuare, nonostante le violenze, le perdite di vite umane e la distruzione dell'idea di India nel Manipur”.
Il gruppo Kuki Indigenous Tribal Leaders Forum (ITLF) - che chiedeva le dimissioni di Singh da quando sono scoppiate le violenze - ha dichiarato che la sua protesta continuerà se non verrà accolta l’istanza di un'amministrazione separata per le zone abitate dai gruppi tribali. “Sapeva ormai che sarebbe stato sfiduciato nel voto dell'Assemblea del Manipur – ha commentato il suo portavoce Ginza Vualzong -. Ha presentato le dimissioni solo per salvarsi la faccia”.
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