Mahmoud Abbas: Finalmente uno Stato palestinese, atteso per 60 anni
In un editoriale sul New York Times, il presidente dell’Olp spiega i passi per far nascere uno Stato, cercando il riconoscimento diplomatico e l’ammissione all’Onu. Per 20 anni i dialoghi con Israele sono stati infruttuosi, portando solo a nuovi insediamenti e colonie nei territori occupati. Un appello a tutte le nazioni per garantire speranza e pace al popolo palestinese.
Ramallah (AsiaNews) – In un appassionato editoriale sul New York Times, il presidente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina e dell’Autorità palestinese (Ap), Mahmoud Abbas, spiega i motivi per cui il suo popolo sta cercando il riconoscimento ufficiale come Stato alle Nazioni Unite. Come si sa, da diversi mesi vi è da parte dell’Ap un offensiva diplomatica per giungere al riconoscimento diplomatico da parte di diversi Stati nel mondo. Nell’editoriale, pubblicato il 16 maggio scorso, Abbas spiega che questi passi sono l’unico modo per giungere a porre fine all’occupazione israeliana dei territori e fare la pace con Israele come “membro delle Nazioni Unite” e non come “un popolo sconfitto, pronto ad accettare qualunque cosa gli si proponga”.
Nei giorni dell’anniversario della Nakba (la “catastrofe”, il nome con cui i palestinesi definiscono la nascita di Israele, coincisa con la nascita del problema dei profughi palestinesi) Abbas ricorda che lui stesso è stato espulso dalla città di Safed (Galilea), rifugiandosi come profugo in Siria.
Egli afferma che quest’anno il popolo palestinese ha un motivo di speranza: “questo settembre, nell’Assemblea generale dell’Onu, richiederemo il riconoscimento internazionale per uno Stato palestinese all’interno dei confini del 1967”, così che “il nostro Stato possa essere ammesso come membro a parte piena”. Egli fa notare che all’Onu l’unica volta in cui si è parlato di uno Stato palestinese è stato nel 1948.
Per molti – dice Abbas – questo passo sembra inutile, mentre Israele occupa molta parte dei territori; per altri esso mette in pericolo il processo di pace. In realtà, egli spiega, “Noi andiamo alle nazioni Unite per assicurare il diritto a vivere liberi nel rimanente 22% della nostra patria storica perché abbiamo negoziato con lo Stato di Israele per 20 anni senza giungere nemmeno vicino alla realizzazione di uno Stato per conto nostro. Non possiamo attendere in modo indefinito mentre Israele continua a mandare sempre più coloni nella West Bank occupata e nega ai palestinesi l’accesso alla maggior parte della nostra terra e ai luoghi santi, in particolare a Gerusalemme. Nessuna pressione politica, né promessa di ricompensa da parte degli Stati Uniti ha mai fermato il programma degli insediamenti israeliani. Al contrario di quanto il primo ministro Benjamin Netanyahu afferma – e ci si può aspettare che ripeterà questa settimana durante la sua visita a Washington – la scelta non è fra l’unità palestinese o la pace con Israele, ma fra una soluzione per i due Stati o le colonie e gli insediamenti”.
Abbas rivendica il fatto che i palestinesi raggiungono ormai tutti i requisiti per essere uno Stato, come esige la Convenzione di Montevideo del 1933: “Abbiamo la capacità di entrare in rapporto con altri Stati e abbiamo ambasciate in più di 100 nazioni. La Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e l’Unione europea hanno indicato che le nostre istituzioni sono sviluppate a un livello tale da essere ormai pronte al [divenire uno] Stato. Solo l’occupazione della nostra terra ci impedisce di raggiungere il potenziale della piena nazionalità; ma questo non impedisce il riconoscimento dell’Onu”.
“Lo Stato di Palestina – continua Abbas – intende essere una nazionale amante della pace, impegnata per i diritti umani, la democrazia, il ruolo della legge e i principi della carta delle Nazioni Unite. Una volta ammessi nell’Onu, il nostro Stato sarà pronto a negoziare tutte le questioni fondamentali nel conflitto con Israele. Uno dei punti chiave di tale negoziato sarà quello di giungere a una soluzione giusta per i rifugiati palestinesi, basata sulla Risoluzione 194, che l’Assemblea generale ha votato nel 1948. La Palestina negozierà da una posizione di membro dell’Onu, il cui territorio è occupato militarmente da un altro,.. e non come un popolo sconfitto, pronto ad accettare qualunque cosa gli si proponga”.
“Chiediamo a tutti le nazioni amiche e amanti della pace – conclude Abbas – di unirsi a noi per realizzare le aspirazioni nazionali, riconoscendo lo Stato di Palestina nei confini del 1967 e sostenendo la nostra ammissione alle Nazioni Unite. Solo se la comunità internazionale mantiene la promessa fattaci 60 anni fa, assicurando una giusta soluzione per i rifugiati palestinesi, ci potrà essere un futuro di speranza e dignità per il nostro popolo”.
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