Maguindanao: a un anno dal massacro ancora nessuna condanna
Manila (AsiaNews) – A Maguidanao (Mindanao) oltre 3mila persone si sono radunate questa mattina per commemorare il massacro avvenuto il 23 novembre 2009 e costato 57 morti. Alla cerimonia parenti degli uccisi, giornalisti e attivisti per diritti umani hanno offerto preghiere, messaggi e candele accese per ricordare le vittime e chiedere giustizia.
Durante la cerimonia, Randy Gunamao, vice presidente dell’Associazione delle pubblicazioni universitarie delle Filippine (sezione Mindanao), ha affermato “Quello che è successo a Maguindanao non è stato solo un attacco contro i giornalisti o politici, ma un affronto contro il popolo filippino”. “L'azione del nostro governo impotente – ha continuato - è una forma di tradimento della nostra democrazia. Non è sufficiente ricordare uno degli attacchi più raccapriccianti nella storia delle Filippine. Abbiamo bisogno di un’azione decisa, perché termini la cultura di impunità che affligge il nostro Paese”
Il 23 novembre 2009 a Maguindanao un commando di circa 100 uomini armati ha assaltato un convoglio dove viaggiavano 57 persone. Questi erano membri del clan di Ishmael “Toto” Mangudadatu, vice-sindaco di Buluan e principale avversario alle elezioni del maggio 2010 di Andal Ampatuan sr, governatore della provincia di Maguindanao e alleato dell’Arroyo. Nell’attacco hanno perso la vita tutti i componenti del convoglio. Tra le vittime anche la moglie di Mangudadatu. La ferocia con cui è stato compiuto il massacro ha suscitato paura e stupore non solo nelle Filippine, ma anche nel resto del mondo.
A un anno da questo tragico evento, nessuno degli autori è stato ancora condannato, nonostante gli sforzi del presidente Aquino per assicurare i criminali alla giustizia.
A tutt’oggi solo Andal Ampatuan jr. figlio dell’ex governatore di Maguindanao è formalmente sotto processo. Gli altri 196 imputati, compreso Andal Ampatuan sr., restano in custodia cautelare e gli affiliati al clan continuano a gestire il racket di droga e armi nella regione. Il clima di impunità ha permesso l’uccisione di circa 100 testimoni del processo, tra cui diversi ex affiliati al clan pentiti.
Fonti di AsiaNews, confermano il clima di tensione nella regione e sottolineano che diversi membri della Corte suprema sono ancora legati all’ex presidente Arroyo e stanno facendo ostruzione ad Aquino, che vorrebbe invece un processo trasparente e ripreso dalle telecamere. Secondo la fonte, il continuo protrarsi del processo serve all’Arroyo, di recente accusata di aver permesso il massacro, per screditare il suo successore. Aquino ha infatti basato la sua campagna elettorale sui temi di lotta alla corruzione, giustizia e sicurezza, sottolineando di continuo l’aria di cambiamento rispetto alla precedente amministrazione.
Intanto, anche la Chiesa sta facendo pressioni per una rapida risoluzione del processo. Oggi mons. Bernardino C. Cortez, responsabile per la Conferenza episcopale della Commissione per le comunicazioni sociali, ha ricordato le vittime del massacro, sottolineando che “una giustizia che ritarda è una giustizia negata”.