L’ira dei poveri tiene in ostaggio i nuovi colonizzatori cinesi
Nel campo estrattivo di Tarapoa i cinesi vivono in un fortino, protetto da guardie armate e recinzioni elettrificate. Si spostano in elicottero e trascorrono le ferie chiusi in un vicino albergo. Tuttavia, il petrolio è divenuta una necessità ed un affare che Pechino non intende farsi sfuggire, qualunque sia il costo da pagare.
Tarapoa (AsiaNews) – Vivere in un campo estrattivo che sembra più un fortino circondato di nemici, guadagnare molto con la prospettiva di poter morire ogni giorno, essere costretti a girare con la scorta pur lavorando nel campo dell’energia. E’ questa la vita delle decine di migliaia di ingegneri ed operai cinesi che vivono fuori dal loro Paese, in una delle 40 nazioni in cui Pechino ha interessi energetici.
Nel più lussuoso albergo di Tarapoa, città dell’Ecuador, il quotidiano giapponese Asahi Shimbun ha intervistato un ingegnere 40enne che viene da Pechino, anonimo per motivi di sicurezza. Lavora per la Andes Petroleum, una holding creata dalle due maggiori compagnie petrolifere cinesi per estrarre petrolio nel Centro America. Prima era un dirigente della China National Petroleum Corporation, il gigante dell’energia – statale – con sede a Pechino.
L’ingegnere sta trascorrendo le sue ferie nell’albergo, che si trova a pochi chilometri dal suo luogo di lavoro: “Senza il permesso della compagnia [anch’essa di proprietà del governo cinese ndr] non possiamo uscire da qui. E’ molto pericoloso, per noi, farci vedere dai locali: sono arrabbiati perché dicono che gli rubiamo il lavoro”.
Basta guardare il campo dove si estrae il petrolio per capire la portata del problema: le recinzioni sono elettrificate, e diverse guardie armate sorvegliano ingressi e perimetro della struttura. All’interno si trova un eliporto, perché i cinesi che lavorano qui si spostano per via aerea: il rischio di assalti alle autovetture “è troppo alto”.
Quando il giornalista chiede di vedere dei campo estrattivi vicini a quello cinese, l’ingegnere lo sconsiglia: “Credi che riconoscano la differenza fra un giapponese ed un ingegnere di Pechino? Se vai lì, ti troverai con una pallottola in corpo”.
D’altra parte, il rischio ha un suo vantaggio: “Al momento guadagno 5mila dollari al mese, quasi 50mila yuan. Certo, potrei morire ogni giorno, ma credo che chiederò di tornare qui anche il prossimo anno. Non vi sono svaghi di alcun tipo, ed i pericoli sono tanti, ed è per questo che il nostro stipendio è così alto. In questo modo, tuttavia, posso permettermi di pagare a mio figlio la miglior istruzione possibile”.
I locali confermano a modo loro che i rischi per la sicurezza degli stranieri sono alti: nel novembre del 2006, un gruppo di contadini ecuadoregni ha preso in ostaggio dozzine di cinesi giunti sul posto per le prime operazioni di scavo. Armulfo Estrella, 35 anni, dice: “Vivono dentro il campo, in degli appartamenti con aria condizionata e tutti i comfort. Sembrano tanti piccoli re”.
Dall’ottobre dell’anno successivo, le cose sono peggiorate: l’acqua della provincia di Sucumbios, dove si trova Tarapoa, è divenuta maleodorante e per i locali la colpa è del campo estrattivo. Manuel Bonilla, che abita vicino ai recinti cinesi, dice: “Da quando hanno iniziato a scavare, l’industria agricola è peggiorata. E’ tutto malsano, e viene da loro”. Ogni giorno, qualcuno lancia oggetti contro la parte esterna del campo.
Rafael Correa, presidente dell’Ecuador, è arrivato a dichiarare lo stato di emergenza quando le manifestazioni anti-cinesi sono divenute troppo numerose per essere controllate. I membri della Andes Petroleum, tuttavia, sono decisi a rimanere perché la fame di energia del colosso asiatico ha raggiunto livelli mai visti.
La Cina è al momento il secondo consumatore di petrolio al mondo. Complice l’inarrestabile crescita economica, le aziende cinesi hanno impiegato nel 2006 oltre 348 milioni di tonnellate di petrolio, a cui si aggiungono i gas combustibili estratti nell’Asia centrale ed il carbone prodotto in patria.
D’altra parte, quello del petrolio è anche un affare destinato ad aumentare di valore. Secondo le proiezioni dell’Agenzia internazionale per l’energia, un barile di petrolio arriverà a costare 150 dollari entro il 2030. Accaparrarsi le riserve di Africa ed America Latina diventa, oltre che una necessità, un ottimo investimento che Pechino non intende farsi sfuggire.
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04/10/2005
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